LO SMART WORKING NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: QUALE FUTURO DOPO LA PANDEMIA?

02.11.2022

Sara Bazzurro - Avvocato e Funzionario PA

Se fino al 2019 il lavoro agile riguardava pochi dipendenti pubblici coinvolti perlopiù in progetti "pilota", a seguito dell'emergenza pandemica, lo smart working è stato promosso a forma "normale" di prestazione dell'attività lavorativa, equivalente alla presenza in ufficio[1].

Cessata la fase emergenziale, è compito degli attori sulla scena del lavoro pubblico (pubbliche amministrazioni, lavoratori, organizzazioni sindacali e utenti) saper sfruttare l'esperienza di questi ultimi anni per non perdere le opportunità di innovazione e modernizzazione dei modelli organizzativi che tale modalità di lavoro può offrire.

La scarna disciplina contenuta nella L. n. 81/2017 definisce il lavoro agile "una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attivita' lavorativa". La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all'interno di locali aziendali e in parte all'esterno, senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.

L'assenza di norme norme di dettaglio ha fatto sì che nella prima fase di applicazione lo smart working sia stato disciplinato perlopiù nell'ambito della contrattazione di secondo livello in alcune realtà industriali e molto sporadicamente, solo in via sperimentale, in alcune pubbliche amministrazioni. La normativa è stata implementata nell'ultimo biennio a causa della pandemia, da una legislazione quasi "alluvionale"[2]. Con il susseguirsi dei diversi atti normativi emanati per contenere il Covid 19 lo smart working non solo si è arricchito di elementi, ma, nella fase più drammatica dell'emergenza, ha addirittura perso la propria natura consensuale, diventando obbligatorio[3] per i pubblici dipendenti. Molto spesso, l'erogazione dei servizi da remoto si è rivelata l'unica possibilità di continuare a rendere prestazioni al pubblico.

Improvvisamente le Pubbliche amministrazioni, e i dirigenti pubblici per primi, hanno dovuto accantonare la tradizionale preferenza per la canonica prestazione resa in ufficio, senza che ci sia stato il tempo di colmare il deficit di cultura manageriale e di innovazione dei processi produttivi, che ha sempre reso difficile, nel pubblico impiego contrattualizzato, il ricorso a forme di destrutturazione del luogo di lavoro[4].

Con l'emergenza pandemica, quindi, si passa da una prima fase di improvviso e massivo ricorso al lavoro agile, ad una fase di graduale ritorno in ufficio ed alternanza con il lavoro in presenza, disciplinata da fonti diversificate (circolari, linee guida, regolamenti delle varie amministrazioni), emanate direttamente dal Governo o con il coinvolgimento (talvolta soltanto formale) delle organizzazioni sindacali.

Nelle more dell'applicazione concreta delle ultime disposizioni di legge e contrattuali, come si dirà, nella maggior parte delle pubbliche amministrazioni ad oggi perdura il ricorso allo smart working (per le mansioni che lo consentono) con modalità assai differenti da ufficio ad ufficio: attività rese pressoché totalmente da remoto convivono con altre in regime di coworking[5] o con alternanza fra casa e luogo di lavoro.

Cessato il momento in cui la salvaguardia della salute era prevalente su ogni valutazione di efficienza, ci si deve ora misurare necessariamente con i risultati dell'applicazione dello smart working in termini di produttività. Al netto della vulgata per cui i dipendenti pubblici sono "fannulloni" e quindi il lavoro agile in pandemia sarebbe stata un'ulteriore scusa per non lavorare, le performances differiscono da amministrazione ad amministrazione, non solo in relazione alla mission di ciascun ufficio, ma soprattutto in base al grado di informatizzazione di ciascuna organizzazione. Si è infatti registrato l'esempio dell'Inps, amministrazione "modello" per l'informatizzazione dei processi produttivi, investita da una mole enorme di istanze; le strutture territoriali, dopo un iniziale momento di sbandamento, hanno saputo far fronte alle richieste pervenute, tanto che gli impiegati sono stati pubblicamente ringraziati dal Presidente della Repubblica per l'impegno profuso[6]. Parallelamente vi sono state realtà meno performanti, come il Ministero della giustizia, in cui l'arretratezza dei procedimenti e delle piattaforme informatiche ha determinato importanti rallentamenti nella celebrazione dei processi[7].

In generale sia il Ministero della Funzione Pubblica sia le singole amministrazioni, esaurita la fase emergenziale, hanno dimostrato uno scarso entusiasmo per un massivo ricorso allo smart working[8]. Ciò è dovuto principalmente ad una diffusa inadeguatezza dei sistemi e delle dotazioni informatiche, nonché alla generale arretratezza dei processi produttivi[9]. Per non perdere l'opportunità di innovazione che il lavoro agile offre devono essere implementati piani di digitalizzazione e sistemi alternativi di misurazione della prestazione lavorativa, che non si limitino alla mera registrazione della presenza. Questo obiettivo va perseguito intervenendo già sulla micro-organizzazione degli uffici, abbandonando approcci inutilmente burocratici.

Ad oggi non è stata emanata una normativa generale e organica di riforma della L. n. 81/2017 per quanto riguarda lo smart working nei settori pubblico e privato. La più recente regolamentazione del lavoro agile per i dipendenti pubblici è contenuta nella contrattazione collettiva del pubblico impiego privatizzato. Il CCNL delle Funzioni Centrali, applicabile al comparto che comprende i Ministeri, le Agenzie fiscali e gli Enti pubblici non economici, siglato il 9 maggio 2022, riscrive completamente la disciplina del telelavoro e dello smart working nel titolo V dedicato al "Lavoro a distanza"[10]. Sotto tale rubrica il contratto regola due diverse modalità di svolgimento della prestazione lavorativa fuori dai locali aziendali: il lavoro agile propriamente detto e il lavoro da remoto. Il secondo appare come una moderna rivisitazione del telelavoro e si avvicina alle modalità di svolgimento della prestazione sperimentate durante la pandemia: non un vero e proprio smart working, piuttosto un'ibridazione di istituti con elementi di flessibilità riguardo agli strumenti utilizzati e al luogo di lavoro, in cui resta però il vincolo del rispetto dell'orario di lavoro. Tale modalità, nell'intenzione delle parti, potrebbe consentire una certa flessibilità per quelle mansioni non interamente "smartabili", conciliando la prestazione domiciliare con la reperibilità per la durata del canonico orario di lavoro. D'altro canto il dovere di osservare l'orario di lavoro comporta il riconoscimento degli istituti contrattuali legati a permessi orari, pause e buono pasto.

Il lavoro agile previsto agli artt. 36 e ss. del CCNL Funzioni Centrali richiama la L. n. 81/2017, disciplinandone tuttavia con maggior dettaglio gli obiettivi, l'accesso e il diritto alla disconnessione. Di particolare importanza è la definizione degli obiettivi, in cui si fa esplicito riferimento al miglioramento dei servizi pubblici e all'innovazione organizzativa, garantendo, allo stesso tempo, il benessere e l'equilibrio fra tempo di vita e di lavoro dei dipendenti.

Se la Pubblica Amministrazione saprà raccogliere la sfida dell'innovazione si vedrà anche attraverso il ricorso allo smart working e a come verranno attuate le previsioni contrattuali nei vari enti.

E' certo che sarà necessario proseguire in un cambio di mentalità per la semplificazione dei processi produttivi con l'uso delle nuove tecnologie. Del resto tali innovazioni comporteranno indubbi vantaggi sotto il profilo dell'efficienza delle prestazioni rese all'utenza (vero nodo sostanziale di misurazione dell'innovazione della p.a.) ed inoltre potrebbero contribuire a rendere il lavoro pubblico maggiormente attrattivo per le nuove generazioni. Ricordiamo che attualmente i dipendenti pubblici sono circa 3,2 milioni. Gli over 60 rappresentano il 16,2%, gli under 30 appena il 4,7%. Oggi in Italia opera nel settore pubblico il 13,4% dei lavoratori, meno che in Francia (che ha 5,6 milioni di dipendenti pubblici, il 19,6% del totale dei lavoratori), nel Regno Unito (5,2 milioni, il 16%,) o in Spagna (3,2 milioni, il 15,9%) ma più della Germania (4,8 milioni, il 10,8% del totale). Nel confronto con questi paesi è più basso anche il rapporto tra numero dei dipendenti pubblici e residenti: in Italia sono il 5,6%, in Francia l'8,4%, in Inghilterra il 7,8% e in Spagna il 6,8%.[11] Le procedure di reclutamento del personale che si sono svolte negli ultimi mesi non sono riuscite a riempire tutti i posti messi a concorso, segno che il lavoro pubblico, seppur garantito, non ha più così tanto appeal. Conciliare le esigenze di modernizzazione con le istanze di miglioramento delle condizioni di lavoro potrebbe essere un buon punto di partenza.

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[1] Così si esprime, nell'ambito della "legislazione di emergenza" per il contenimento del Covid 19, l'art. 87 del D.L.n. 18/2020).

[2] Nel solo anno 2020 per il settore pubblico sono stati emanati: i dpcm del 23.2, del 25.2, dell' 1.3; la direttiva della Funzione pubblica n. 1/20 del 25.2; l' art. 18, dl 2.3.2020 n. 9, non convertito ma con effetti fatti salvi da l. 27 del 24.4; il dpcm 9.3.2020 , il dpcm 8.3.2020, art. 1, c. 1 lett. e); la Direttiva della Funzione Pubblica 2/2020 del 12.3.20202 ; il dl 18/20 del 17 marzo (c.d. "Cura Italia", conv. con l. 27 del 24.4.), art. 87; i protocolli Governo-parti sociali 3 e 8 aprile 2020; gli artt. 90 c. 4 e 263 del dl n. 34 del 19.5.2020 (c.d. "Rilancio").

[3] Eccezion fatta per le attività indifferibili che richiedessero la presenza sul luogo di lavoro.

[4] E' ad esempio il caso del telelavoro più antico ma, parimenti, scarsamente diffuso e spesso considerato non come diritto, ma come "concessione", riservata solo a determinate categorie di dipendenti, prevalentemente in un'ottica di conciliazione della vita famigliare e lavorativa, e in poche amministrazioni "illuminate".

[5] Generalmente nella P.A. con il termine coworking si indicano forme di lavoro decentrato, per cui un dipendente, in servizio presso una sede, rende la prestazione presso gli uffici di altra sede.

[6] V. Comunicato stampa dell'Inps del 9 luglio 2021.

[7] V. M. Orlando, Lavoro agile (o smart working): l'esperienza del Tribunale di Livorno, in www.questionegiustizia.it,14.03.2020.

[8] V. ad esempio Circolare a firma Ministero Funzione Pubblica e Ministero del Lavoro del 5 gennaio 2022 che ribadisce il principio della prevalenza del lavoro in presenza, già stabilito dalle Linee Guida sullo smart working nella pa del dicembre 2021.

[9] Parla di "primitivismo organizzativo" L. Zoppoli, in Dopo la digi-demia: quale smart working per le pubbliche amministrazioni italiane?, in W.P. CDSLE Massimo D'Antona, n.421/2020

[10] Analoghe disposizioni sono previste nella Preintesa del CCNL Funzioni Locali del 4 agosto 2022.

[11] Dati Forum Pa 2022