COME VA RICONOSCIUTO L'ASSEGNO DIVORZILE? COME SI APPLICA?

01.05.2020

Dott.ssa Deborah Alma

L'assegno divorzile è una delle principali conseguenze di carattere economico del divorzio perché è proprio con la sentenza di divorzio che il Tribunale stabilisce l'eventuale diritto di un coniuge a percepirlo.

L'assegno divorzile va distinto dall'assegno di mantenimento disciplinato dall'art. 156 c.c, il quale, per la sua concessione, presuppone l'esistenza di un vincolo coniugale non ancora cessato, e quindi l'esistenza di un rapporto di coniugio.

Il diritto all'assegno divorzile è invece disciplinato dall'art. 5, sesto comma, della L. n. 898/1070 il quale stabilisce che "con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio il Tribunale ....... dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive". Purtroppo il testo della norma non offre indicazioni applicative univoche in ordine all'esatta interpretazione dell'espressione "mezzi adeguati", non essendo precisato quale sia il parametro di riferimento cui ancorare il giudizio di adeguatezza. Proprio questa indeterminatezza ha dato luogo a posizioni diverse, tanto in ordine all'individuazione dei presupposti per il suo riconoscimento, quanto in ordine alla sua quantificazione.

Per quasi trent'anni, a partire dalla decisione delle Sezioni Unite civili n. 11490 del 29 novembre 1990, la giurisprudenza ha interpretato il requisito dell'inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante quale insufficienza degli stessi a consentire di mantenere lo stesso tenore di vita di cui godeva in costanza di matrimonio. Un orientamento, questo,superato dalla I Sezione Civile della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 11504 dell'11 maggio 2017 (la famosa sentenza Grilli), ha accantonato il criterio del tenore di vita per la determinazione dell'assegno divorzile. La Corte ha operato un'approfondita analisi dell'art. 5, sesto comma, della l. n. 898/1970, ed evidenziato come la sua "struttura" prefigurava un giudizio rigorosamente distinto in due fasi, il cui oggetto era costituito, rispettivamente, dall'eventuale riconoscimento del diritto (fase dell'an debeatur) e -solo all'esito positivo di tale prima fase- dalla determinazione quantitativa dell'assegno (fase del quantum debeatur). Sicché l'assegno di divorzio era riconosciuto, nella fase dell'an debeatur, alla "persona" dell'ex coniuge che non avesse mezzi adeguati o non potesse procurarseli per ragioni oggettive, e determinato nella fase del quantum debeatur non "in ragione" del rapporto matrimoniale definitivamente cessato, bensì in considerazione di esso, avendo lo stesso rapporto caratterizzato un periodo più o meno lungo della vita di ciascun coniuge. Ecco che i criteri menzionati dalla norma - le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, il reddito di entrambi e la durata del matrimonio - diventavano funzionali alla quantificazione dell'assegno.

Ad avviso della Cassazione il criterio di liquidazione dell'assegno correlato al "tenore di vita" collideva con più principi di diritto. Ecco perché:

  • se applicato nella fase dell'an debeatur- collideva con la natura dell'istituto di divorzio e con i suoi effetti: con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale ma anche su quello economico-patrimoniale. Sicchè ogni riferimento a tale rapporto, ad avviso della Corte, finiva col ripristinarlo illegittimamente in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale;
  • implicava l'omessa considerazione che il diritto all'assegno di divorzio doveva essere eventualmente riconosciuto all'ex coniuge richiedente, nella fase dell'an debeatur, esclusivamente come "persona singola", e non come "parte" di un rapporto matrimoniale ormai estinto;
  • implicava che il giudice non analizzasse la questione relativa alla sussistenza del diritto all'assegno e cioè all'impossibilità di procurarsi mezzi idonei al mantenimento;

ecco che l'acceso dibattito suscitato dai contrapposti orientamenti sfociò nell'intervento delle Sezioni Unite, la cui recente sentenza dell'11 luglio 2018 n. 18287 ha affermato il principio secondo il quale l'assegno di divorzio ha natura assistenziale, compensativa e perequativa.

Ad avviso delle Sezioni Unite il legislatore impone di accertare, preliminarmente, l'esistenza e l'entità dello squilibrio determinato dal divorzio. All'esito di tale preliminare accertamento può venire già in evidenza il profilo strettamente assistenziale dell'assegno, qualora una sola delle parti non sia titolare di redditi propri e sia priva di redditi da lavoro. Possono, tuttavia, riscontrarsi più situazioni comparative caratterizzate da una sperequazione nella condizione economico-patrimoniale delle parti, di entità variabile.

In entrambe le ipotesi il parametro dell'accertamento del diritto ha natura composita, dovendo l'inadeguatezza dei mezzi o l'incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione dei criteri contenuti nella prima parte dell'art. 5, comma sesto, l. n.898/1970. L'adeguatezza assume così un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi a quello strettamente assistenziale, "...dovendo procedersi all'effettiva valutazione del contributo fornito dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio comune e alla formazione del profilo economico patrimoniale dell'altra parte, anche in relazione alle potenzialità future..." (Cass. n.18287/2018). Ciò in quanto la funzione dell'assegno è di riconoscere un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. Ciò perché il contributo fornito alla conduzione della vita familiare altro non è che il frutto di decisioni comuni di entrambi i coniugi, le quali possono incidere significativamente sul profilo economico di ciascuno di essi a seguito della fine dell'unione coniugale.

Alla luce di questa sentenza, quindi, il riconoscimento dell'assegno divorzile non è più legato alla mancanza di un'autosufficienza economica del richiedente o all'esigenza di consentire al coniuge privo di mezzi adeguati il ripristino del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

Il diritto può sorgere anche solo per porre rimedio allo squilibrio economico-patrimoniale delle parti.

Con questo nuovo criterio le Sezioni Unite hanno voluto offrire una protezione più forte al coniuge economicamente più debole, diminuendo il rischio che le scelte e i sacrifici professionali compiuti nella conduzione della vita familiare possano rimanere privi di effetti.