IL "NUOVO" REATO DI ABUSO DI UFFICIO DOPO IL DECRETO SEMPLIFICAZIONI 2020

01.06.2021

Dott.ssa Flavia Lombardi

Recentemente, la riforma operata dall'art. 23 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 - recante "misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale" - ha inciso sul delitto di abuso d'ufficio (art. 323 c.p.) al fine di correggere gli effetti distorsivi di una prassi applicativa che ne ha sbiadito nel tempo i confini del tipo, ricalcati dalla Legge 16 luglio 1997, n. 234 proprio con l'intento di contenere le disfunzioni della fattispecie di "abuso innominato", cui l'intervento legislativo del 1990 non era riuscito a porre rimedio (1).

In buona sostanza, la disarticolazione del testo in via interpretativa innescava interventi riformatori che, traendo spunto dalla legalità effettuale (2), legittimano la verità del formante giurisprudenziale, ormai considerato "fonte" del diritto, quasi perdendo di vista le reali dimensioni del deficit di determinatezza della struttura tipica sottoposta a revisione (3).

Sulla base di tali premesse, la ristrutturazione dell'art. 323 c.p ha finito per concentrarsi soltanto sulla "violazione di norme di legge o di regolamento", ovvero sul disvalore dell'azione, trascurando - come posti in essere negli anni dalla giurisprudenza - il disvalore dell'evento (vantaggio o danno) che, legato al primo da una "causalità normativa", rende l'offesa descrittiva di un programma epistemologicamente verificabile.

Eliminati dalla dimensione soggettiva del dolo specifico, l' "ingiusto vantaggio patrimoniale" o il "danno ingiusto" si saldano eziologicamente alla condotta illecita, innalzandosi a seconda dimensione della speciale illiceità dell'abuso di ufficio, al fine di ponderarne il reale disvalore e la punibilità in concreto in funzione dei principi di ragionevolezza e di sussidiarietà.

Nonostante ciò, in luogo di rafforzare l'assetto positivizzato all'art. 323 c.p, il legislatore ha focalizzato l'attenzione sul diritto vivente e sulle disfunzioni interpretative che lo caratterizzano, "cercando di contenerne la progressiva lacerazione con una rimodulazione per specificazione finalizzata soltanto al primo livello di un reato a doppia ingiustizia" (4).

Dopo l'intervento legislativo del 2012 - che si limitò a riformarne la pena edittale precedente (da sei mesi a tre anni) - con l'attuale previsione punitiva "da uno a quattro anni", quello del 2020 rappresenta un nuovo intervento di tipo strutturale, finalizzato ad avere un impatto sistematico-funzionale sul delitto in questione.

Piuttosto che riscrivere l'art. 323 c.p, il legislatore ha ritenuto destituire le parole "di norme di legge o di regolamento" con le seguenti: "di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità" (5).

In tal senso, il precetto si è concentrato sulla violazione di specifiche regole di condotta che:

  • siano previste da fonti di rango primario (leggi o atti aventi forza di legge);

  • abbiano carattere vincolante (ovvero non lascino al pubblico agente margini di discrezionalità).

Stando così le cose, il pubblico agente che viola con dolo intenzionale di ingiusto profitto patrimoniale (o di danno ingiusto) un regolamento dato dall'amministrazione o che eserciti con lo stesso obiettivo un potere discrezionale previsto dalla legge non potrebbe integrare il delitto di abuso di ufficio.

In buona sostanza, se alla nuova formulazione dell'art. 323 c.p deve considerarsi estranea l'attività discrezionale amministrativa, non può configurarsi il vizio di eccesso di potere e, di conseguenza, ogni sindacato del giudice penale sull'eccesso o sviamento di potere dovrebbe risultare precluso6.

La portata rivoluzionaria di tale riforma può essere compresa se si considera la radice etimologica del termine "abuso", nel quale è contenuta la possibilità di un uso lecito di poteri facoltà conferiti dalla legge all'organo-ufficio, in seno al quale il pubblico agente è tenuto ad esercitarli orientando la funzione o il servizio al fine istituzionale prefissato e tipico che ne giustifica l'attribuzione (in modo vincolato o discrezionale) (7).

Per tale motivo, "il reato di abuso d'ufficio connotato da violazione di norma di legge o di regolamento è configurabile non solo allorché la condotta tenuta dall'agente sia in contrasto con il significato letterale, logico o sistematico della disposizione di riferimento, ma anche quando essa contraddica lo specifico fine perseguito dalla norma, concretizzandosi in uno "svolgimento della funzione o del servizio" che oltrepassa ogni possibile opzione attribuita al pubblico ufficiale o all'incaricato di pubblico servizio per realizzare tale fine" (8).

Si trattava delle premesse che hanno spinto le Sezioni Unite a riconoscere il "requisito della violazione di legge non solo quando la condotta del pubblico ufficiale sia svolta in contrasto con le norme che regolano l'esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito, realizzandosi in tal caso il vizio dello sviamento di potere, che integra la violazione di legge poiché lo stesso non viene esercitato secondo lo schema normativo che ne legittima l'attribuzione" (9).

In tal senso, l'interesse pubblico rappresenta il confine esterno alla discrezionalità, consentendone l'esercizio nel rispetto della disciplina dell'ufficio o servizio che, grazie alla qualifica soggettiva pretesa dall'art. 323 c.p., penetra nel tipo ed orienta l'offensività della violazione, lasciando fuori dallo spettro punitivo l'eccesso punitivo intrinseco, finché la condotta del pubblico agente ruoti all'interno delle possibili opzioni che la norma attributiva del potere discrezionale gli consentiva.

All'opposto, il cattivo uso del potere che oltrepassi i limiti interni della discrezionalità, ponendosi in contrasto con l'interesse per il quale il potere viene attribuito (eccesso di potere estrinseco), deve continuare a rientrare nel fuoco della fattispecie, focalizzando il sindacato penale sulla verifica dell'eventuale sostituzione del merito amministrativo con un merito illecito (10).

Espungendo dall'area del penalmente rilevante ogni condotta avente margini di discrezionalità, la riforma in commento impone un cambiamento radicale della stessa morfologia dell'abuso. L'intervento riformatore blocca la configurabilità del delitto di abuso di ufficio nei casi in cui il potere del pubblico agente, esercitato per un fine diverso da quello per il quale è stato attribuito (11), ritrovi la sua fonte in una legge o in un atto avente forza di legge che ne preveda margini di discrezionalità (12).

L'effetto collaterale è dovuto alla mancata sinergia tra le regole violate e il contesto (esercizio delle funzioni o del servizio), che caratterizza una pubblica amministrazione sempre più dinamica e protesa alla ricomposizione e al ribilanciamento di molteplici interessi (pubblici e privati).

Trascurare l'attuale assetto funzionale della Pubblica Amministrazione rischia di escludere dal perimetro dell'art. 323 c.p proprio l'area dell'attività amministrativa più esposta ai casi di abuso di potere degni di rilevanza penale.

All'opposto, l'operazione di "alleggerimento" lascerebbe ancora esposta a rischio l'attività del pubblico agente, attuata in violazione di regole di condotta puramente formali o procedimentali, eppure dotate di un sostrato vincolante positivizzato in una legge o in un atto avente forza di legge, con conseguenze paradossali.

Fin da subito, la dottrina ha rimarcato il carattere "pervasivo" e "multiforme" della discrezionalità nella pubblica amministrazione, precisando che, a differenza di quella politica, la discrezionalità amministrativa e quella tecnica sono "in vario modo ancorate a criteri e parametri di esercizio, spesso individuati da regole specifiche ed espresse, contenute in leggi o regolamenti" (13).

Ciò dovrebbe indurre a salvaguardare la dogmatica di categorie sottesa alla struttura del reato di evento, che consente alla incriminazione di non ridursi a mera inosservanza di precetti.

Recuperare il disvalore dell'evento conservando la rilevanza penale dello sviamento di potere consente di attribuire significato alle regole di condotta "finalizzate", norme preventive che non esauriscono la loro portata precettiva nella disciplina del regolare e ordinato svolgimento dell'attività o della funzione, ma orientando la condotta del soggetto giuridicamente qualificato al fine di impedire (o ridurre) le lesioni a carico degli interessi tutelati. In tal modo, può essere valorizzata l'infedeltà sottesa alla posizione di garanzia che disorienta l'operato degli agenti pubblici in modo strumentale alla salvaguardia di beni diversi da quelli oggetto di tutela.

Tale infedeltà rischia di essere posta a margine dalla riforma dell'abuso di ufficio che pone fuori dalla fattispecie anche le ipotesi di deviazione dell'atto dalla causa tipica ovvero lo sfruttamento del pubblico ufficio ai fini privati. Si tratta di casi che, nonostante la base discrezionale, rivelano un eccesso di potere in grado di contraddire le leggi che governano il potere-facoltà conferito al pubblico agente e, pertanto, in contrasto con le finalità istituzionali.

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1) Cfr. BENUSSI C., I delitti contro la P.A., Padova, 2001, p. 549.

2) In tal senso LICCI G., Figure del diritto penale. Una introduzione al sistema punitivo italiano, Torino, 2010, p. 24.

3) Cfr. NADDEO M., I limiti della tutela penale nell'abuso di ufficio, in L'indp. Pen., 2018, n. 1, p. 232.

4) Cfr. RAMPIONI R., I delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., in Questioni Fondamentali della parte speciale del diritto penale, in FIORELLA A. (a cura di), Torino, 2019, p. 800.

5) Cfr. art. 23, Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76.

6) Cfr. LOPILATO V., Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2020, p. 696.

7)  Cfr. CASTALDO A.R., L'abuso penalmente rilevante nel mercato economico finanziario e nella pubblica amministrazione, in Riv. Trim. dir. Pen. ec., 2018, n. 2, p. 89.

8) Cfr. Cass. Pen., sent. 10 dicembre 2001, in www.italgiure.giustizia.it.

9) Cfr. Cass. SS. UU., sent. 29 settembre 2011, n. 155, in www.italgiure.giustizia.it.

10) Cfr. PADOVANI T., L'abuso di ufficio e il sindacato del giudice penale, in Riv. Trim. dir. Pen. E proc. Pen., 1989, p. 88.

11) Cfr. Cass. Pen., sent. 13 aprile 2018, n. 19519, in www.italgiure.giustizia.it.

12) I primi commentatori hanno evidenziato che: "a seguito della riscrittura della sottofattispecie della violazione di norme di legge, pare essersi venuto a creare un profondo solco tra le due condotte tipiche: la situazione di conflitto di interessi è rilevante come abuso di ufficio anche quando faccia difetto una specifica disciplina dell'astensione, nel senso che quest'ultima non trovi la sua fonte in una norma di legge; mentre la prima condotta tipica pare esigere una specifica regola di condotta espressamente di fonte legale", tale aspetto potrebbe portare a sovraccaricare la seconda condotta tipica anche con le ipotesi di eccesso di potere e le violazioni di norme di fonte regolamentare (Cfr. GAMBARDELLA M., Simul stabunt vel simul cadent, Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale, in Sistema Penale, 2020, n. 7, p. 151.

13) Cfr. PADOVANI T., L'abuso di ufficio e il sindacato del giudice penale, cit., p. 90.