LA NUOVA LEGITTIMA DIFESA E LA NUOVA FATTISPECIE DELL'ECCESSO COLPOSO: PROBLEMI DI TASSATIVITA' E SUFFICIENTE DETERMINATEZZA DEL PRECETTO PENALE

01.04.2020

IL PRINCIPIO DI INESIGIBILITA' E POSSIBILI NUOVE CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA E DELLA PUNIBILITA'.

Dott. Matteo Cecchetti

Con la Legge N. 36 del 26 aprile 2019 il Governo è intervenuto sulla parte generale del Codice Penale andando a modificare profondamente l'impianto della "Difesa Legittima".

In particolare, l'asserito incremento dei fenomeni legati alla piccola criminalità, verosimilmente direzionati verso una sempre più frequente messa in pericolo o concreta lesione del bene giuridico della persona e, più nello specifico, del bene giuridico dell'inviolabilità del domicilio, hanno spinto l'esecutivo in carica sino a poco tempo fa, a prevedere una incisiva riscrittura degli artt. 52 e 55 c.p.

Tuttavia, sia durante l'ampio e veemente dibattito politico che ha accompagnato la riforma, sia in sede di concreta applicazione delle nuove disposizioni legislative, sono emerse molteplici perplessità afferenti tanto quanto alla formulazione della fattispecie penale quanto agli obiettivi di general-prevenzione che il Governo si è prefissato di raggiungere.

La "Difesa legittima", disciplinata dalla prima dell'art. 52 del Codice Rocco, rientra tra le c.d. cause di giustificazione del reato, conosciute anche con il nome di "scriminanti" o di "cause di esclusione dell'antigiuridicità". Quest'ultime disciplinano circostanze peculiari, previste dalla legge, "in presenza delle quali un fatto conforme ad una fattispecie incriminatrice, che altrimenti costituirebbe reato, non acquista tale carattere, ma viene considerato ab origine lecito, perché viene consentito o imposto dall'ordinamento giuridico"1. In altre parole, attraverso le scriminanti l'ordinamento giuridico individua determinate facoltà, doveri o circostanze fattuali che autorizzano o, addirittura, impongono la commissione di un determinato evento il quale, tuttavia, in via generale ed astratta, integrerebbe tutti gli elementi di una fattispecie incriminatrice.

Il fondamento giuridico, politico e sostanziale delle cause di giustificazione, secondo l'orientamento dottrinale prevalente, che utilizza una concezione di tipo pluralista, ruota intorno ai tre principi cardine: il primo è quello dell'interesse prevalente, che opera nelle scriminanti dell'esercizio di un diritto, dell'adempimento del dovere, della legittima difesa, dell'uso legittimo delle armi e dello stato di necessità e che si sostanzia in un giudizio di comparazione dei vari interessi in conflitto all'interno dell'evento che ha portato alla realizzazione del fatto tipico. In tal caso, infatti, concorre sia l'interesse che il precetto penale mira a tutelare, sia l'interesse che attiva la possibilità o il dovere di ricorrere alla causa di giustificazione. Il secondo principio, invece, è quello dell'interesse mancante ed è posto alla base della sola scriminante del consenso dell'avente diritto. Esso si sostanzia nella mancanza di interesse a tutelare il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice a causa della rinuncia alla sua protezione da parte del titolare del bene stesso. Tuttavia, se tali principi possono spiegare il fondamento delle cause di esclusione dell'antigiuridicità soltanto sotto il profilo delle scelte politico-criminali perseguite dal legislatore, il principio che, da un punto di vista logico-giuridico-sistematico, esplica chiaramente la ratio della previsione di quest'ultime, è quello di "non contraddizione". Invero, un ordinamento concepito come unitario non può autorizzare un particolare comportamento e al contempo vietarlo.

Da quanto precede si evince, quindi, che le scriminanti operano sul piano squisitamente oggettivo, discostandosi nettamente da qualsivoglia riferimento all'elemento soggettivo della condotta posta in essere dal reo. Tale caratteristica, connessa strettamente al concetto di antigiuridicità penale, comporta che le cause di giustificazioni presentino ulteriori peculiarità:

  • Non sono norme di diritto eccezionale e, quindi, insuscettibili di applicazione analogica;

  • Non presentano un carattere strettamente penale, nel senso che, pur essendo state oggetto di elencazione all'interno del Codice Penale, esse possono essere, in realtà, ricavate da tutto l'ordinamento. Argomentando in senso contrario, ci troveremmo dinnanzi all'impossibilità di veder operare le scriminanti del Consenso dell'avente diritto, dell'Esercizio di un diritto e dell'Adempimento del dovere, posto che esercitare o conservare un proprio diritto, così come adempiere ad un determinato obbligo, sono azioni che posso trovare il proprio fondamento in qualsivoglia disposizione normativa, anche e, soprattutto, di matrice non penalistica.

Orbene, svolta tale premessa di carattere introduttivo, per ciò che concerne nello specifico la scriminante della Difesa Legittima, è facile comprendere come ci si trovi dinnanzi ad una delle più delicate figure di causa di esclusione dell'antigiuridicità. Essa infatti involge profili che afferiscono non soltanto alla teoria generale del reato e a al mero elemento oggettivo dello stesso, ma si atteggia anche e, soprattutto, come il punto cardine che garantisce l'equilibrio tra il tessuto sociale e gli obiettivi di general-prevenzione fissati dal legislatore penale. D'altra parte, per comprendere appieno la reale portata della causa di giustificazione in esame e delle relative riforme che l'hanno di recente investita, è necessario estendere il dibattito anche sulle modifiche apportate all'impianto della fattispecie dell'Eccesso Colposo di cui all'art. 55 c.p. che presenta, ad avviso, dello scrivente, le maggiori criticità

Ma procediamo con ordine.

Come rilevato in precedenza, la norma del Codice Penale che cristallizza la Difesa Legittima è l'art. 52, il quale, al comma 1, recita così: "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un'offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa". Con la configurazione di una simile causa di esclusione dell'antigiuridicità lo Stato si spoglia della titolarità del monopolio dell'uso della forza consentendo ai privati cittadini di difendere autonomamente i propri interessi e diritti; quanto precede, ovviamente qualora quest'ultimi corrano il pericolo di essere ingiustamente lesi e l'ordinamento, nel contempo, non riesca ad approntare una tutela immediata, efficace e soddisfacente.

Dall'anali epidermica della disposizione richiamata emerge a chiare lettere che l'uso della forza da parte del soggetto privato può avere efficacia scriminante soltanto in presenza di due presupposti necessariamente concatenati nello spazio e nel tempo: il PERICOLO ATTUALE di un OFFESA INGIUSTA ad un diritto proprio o altrui.

Inoltre, a differenza di quanto accade, per esempio, per la figura dello stato di necessità, la vis lesiva deve essere inderogabilmente diretta verso l'aggressore; tuttavia tale forza difensiva, come è noto e per come richiesto esplicitamente dall'art. 52, 1 comma, c.p. sopra richiamato, deve essere proporzionata all'offesa che il diritto, l'interesse o, per meglio dire, il bene giuridico sta ricevendo in quel determinato momento storico.

Ebbene, proprio con riferimento al requisito della proporzionalità che deve sussistere tra difesa e offesa affinchè possa operare la prefata disposizione scriminante, nel corso degli anni si è vivacemente discusso sia a livello politico che tra gli operatori del diritto in relazione alla possibilità che il requisito richiamato potesse essere ritenuto implicitamente presente (senza previo accertamento giurisdizionale) all'interno della condotta tenuta dal soggetto difensore in determinate circostanze e all'interno di specifici luoghi.

Tali fermenti critici hanno portato, in un primo tempo, all'introduzione nell'impianto dell'art. 52 c.p., da parte della Legge di riforma n. 59 del 13 febbraio 2006, del 2 comma, il quale ha positivizzato la c.d. legittima difesa "domiciliare". In particolare, tale disposizione, nella versione originaria prevista dalla riforma recitava così: "Nei casi previsti dall'art. 614, primo e secondo comma, sussiste il rapporto di proporzionalità di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o l'altrui incolumità; b) i beni propri o altrui quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione. La disposizione di cui al secondo comma si applica anche al caso in cui il fatto sia avvenuto all'interno di ogni altro luogo ove venga esercitata un'attività commerciale, professionale o imprenditoriale."

Tuttavia, anche dopo l'intervento del 2006 si è continuato a discutere sulla reale portata del requisito della sussistenza del rapporto di proporzione tra offesa e difesa, posto che le novità recate sul tema dal citato intervento di riforma non sono andate ad intaccare i presupposti fondamentali della scriminante in esame: una presunzione di proporzione tra difesa e offesa, nei casi previsti dalla fattispecie della Violazione di Domicilio, pur sempre condizionata alla ricorrenza di determinate circostanze, che di fatto andavano a svuotare la ratio della riforma; il previo accertamento giurisdizionale della presenza di tali situazioni che, ai sensi del vecchio comma 2 dell'art. 52, potevano condurre al riconoscimento della proporzione tra la vis lesiva posta in essere dal soggetto aggredito e quella esercitata dal reo; l'onere della prova, con riferimento a tali circostanze, che rimaneva a carico della presunta persona offesa che invocava l'operatività della scriminante de quo.

Pertanto, alla luce di tali considerazioni, la precedente legislatura ha ritenuto opportuno, come evidenziato poc'anzi, riscrivere in maniera incisiva la formulazione dell'art. 52 c.p. nell'ottica di una maggiore tutela dei soggetti che, nei particolari casi di cui all'art. 614 c.p. si trovano a dover resistere ad un'aggressione posta in essere nei confronti della loro persona o di una serie di interessi giuridicamente rilevanti e protetti afferenti alla loro sfera giuridica.

In tale contesto, quindi, va collocata la L. n. 36 del 2019, la quale, con il duplice obiettivo di introdurre, da una parte, una presunzione di sussistenza del requisito di proporzionalità tra difesa e offesa e, dall'altra, di limitare notevolmente, nei casi specificati all'art. 52 c.p., l'ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice dell'eccesso colposo di cui all'art. 55 c.p. è andata, innanzitutto, a rimodulare in maniera significativa il 2 comma della norma relativa alla Difesa legittima, il quale, ad oggi, recita così: "Nei casi previsti dall'art. 614, primo e secondo comma, sussiste sempre il rapporto di proporzionalità di cui al primo comma del presente articolo se taluno legittimamente presente in uno dei luoghi ivi indicati usa un'arma legittimamente detenuta o altro mezzo idoneo al fine di difendere: a) la propria o l'altrui incolumità; b) i beni propri o altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione."

Come si può agevolmente evincere dalla nuova formulazione della disposizione richiamata, il legislatore si è peritato di collegare la tutela del bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice della Violazione di Domicilio (art. 614 c.p.) alla condizione in cui i trova verosimilmente la persona offesa che, in occasione della realizzazione di tale condotta criminosa, si trova costretto ad esercitare una vis lesiva nei confronti dell'aggressore per difendere se stesso o altri soggetti ovvero, addirittura, quando sono aggrediti o minacciati i beni presenti all'interno dei luoghi indicati dall'art. 614 c.p.

Quanto precede è stato realizzato con la previsione di una sussistenza generale e presuntiva del rapporto di proporzionalità tra la difesa e l'offesa, andando, quindi, a derogare alla struttura portante della causa di giustificazione de quo prevista dal primo comma dell'art. 52 c.p. Invero, nel comma in esame, l'elemento oggettivo, cristallizzato nella condotta posta in essere dalla persona offesa (la vis lesiva rivolta verso l'aggressore), viene sostanzialmente spogliato del parametro di riferimento della proporzionalità, limite necessario posto alla delega dell'uso della forza da parte dello Stato in favore del privato cittadino, per integrare una mera conseguenza dell'agire del reo, il quale si troverebbe in balia della volontà della persona offesa. Quest'ultima, invero, potrebbe allegare la semplice legittima detenzione di un'arma, la titolarità del diritto dello ius exludendi alios e l'invito alla desistenza, per invocare l'operatività della scriminante della difesa legittima ed elidere qualsivoglia elemento di antigiuridicità alla propria condotta. Ciò comporta, tuttavia, delle conseguenze rilevanti in punto di compatibilità con i principi costituzionali in materia penale.

Il primo e più evidente elemento di criticità è rappresentato dalla circostanza che, introducendo una sostanziale presunzione di sussistenza del requisito della proporzionalità tra difesa e offesa, seppur soltanto in determinati casi, vi è il rischio di equiparare in maniera ingiustificata situazioni che, con riferimento al profilo assiologico dei beni giuridici tutelati (vita e proprietà), debbono necessariamente essere attenzionate in maniera differente, pena altrimenti la violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.

In particolare, se la proporzione tra l'azione del presunto reo e la reazione della persona offesa viene fatta sussistere anche quando quest'ultimo ricorre all'utilizzo di un'arma o altro mezzo idoneo (a porre in pericolo o ledere il bene vita, ancorchè del reo, a.d.r.) per difendere "beni propri o altrui", vi sarebbe l'illegittimo arretramento del rango costituzionale di tutela del bene giuridico vita rispetto al bene giuridico della proprietà, il quale, nella scala dei valori costituzionalmente garantiti ha e deve avere una tutela secondaria. E' evidente, infatti, che qualora il reo abbia posto in essere una condotta criminosa ledendo o ponendo in pericolo dei meri beni materiali, seppur all'interno dei luoghi e dei casi previsti dall'art. 614 c.p., e, di contro, si trovasse a fronteggiare una reazione che potrebbe vulnerare la propria incolumità fisica sino all'exitus fatale, quest'ultimo sarebbe in balia di una sostanziale azione di carattere punitivo da parte dell'offeso, ai limiti della vendetta privata e assolutamente sproporzionata all'offesa arrecata. In altri termini si verrebbe a creare una incorporazione per fusione tra la condotta del reo e quella del titolare del Ius exludendi alios che, nel caso di aggressione "a beni propri o altrui" risulta totalmente ingiustificata, posto che la lesione di due beni giuridici così differenti (vita/persona - proprietà) deve comportare necessariamente un'indagine differenziata. Tali condotte infatti, alla luce della scala dei valori e dei beni costituzionalmente garantiti integrano necessariamente due azioni lesive distinte che, a loro volta, configurano due fattispecie criminose assolutamente autonome, ancorchè poste in essere all'interno di una dinamica offesa-reazione. D'altra parte, in tal caso non si comprende come possa sussistere il requisito dell'attualità del pericolo in una condotta lesiva che è sì rivolta verso dei beni che il legislatore ritiene meritevoli di tutela, ma che è contrastata da un tipo di reazione che proviene da un soggetto verso il quale non viene esercitata alcuna vis lesiva. E tale reazione non può neanche essere giustificata affermando che il pericolo attuale e concreto della condotta posta in essere dall'aggressore sia da ricercare nella lesione del bene giuridico tutelato dall'art. 614 c.p., in quanto quest'ultimo, appunto, mira a salvaguardare un interesse totalmente autonomo e distinto dalle condotte offensivo-reattive che danno luogo alla dinamica della nuova difesa legittima. Argomentando in senso contrario si rischierebbe, quindi, di svuotare interamente l'operatività dell'eccesso colposo in tema di scriminanti (cosa che in parte è poi effettivamente avvenuta, come si vedrà nel prosieguo). Quanto precede, senza poi tener conto dei principi generali operanti nel caso attenzionato, come la possibilità, da parte dell'offeso, di ricorrere al commodus discessus, che non possono non essere presi in considerazione, soltanto per le caratteristiche particolari del luogo in cui avviene l'aggressione.

Inoltre, occorre sottolineare anche che l'inserimento di una presunzione assoluta di proporzionalità all'interno della struttura dell'art. 52 c.p., potrebbe comportare, nei fatti, un illegittimo stravolgimento dell'onere probatorio a carico di colui che ha posto in essere la condotta incriminata ex art. 614 c.p. con evidenti riflessi in tema di rispetto del principio di non colpevolezza. Invero, mentre in precedenza, il previo accertamento della sussistenza di una causa di esclusione dell'antigiuridicità avveniva nel preminente contraddittorio tra il magistrato del pubblico ministero e il soggetto offeso che invocava l'operatività della scriminante, alla luce della riforma esaminata, il dibattito vedrebbe ampiamente coinvolto anche il presunto reo; quest'ultimo, infatti, qualora si ricada nei casi di cui all'art. 52 c.p., secondo comma, sarebbe gravato dell'onere di dimostrare che i presupposti di applicabilità di tale disposizione risultano insussistenti. Tale contegno, tuttavia, sarebbe inaccettabile da tollerare perché presupporrebbe la colpevolezza del presunto aggressore ancor prima del reale accertamento sulla condotta posta in essere da quest'ultimo. Il Giudicante, dal canto suo, infatti, non sarebbe più chiamato ad attenzionare la fattispecie nel suo insieme per poi scomporla nei singoli segmenti al fine di valutare l'entità dell'offesa e la conseguente proporzionalità della reazione, bensì dovrebbe solo formalmente accertare, dalle semplici allegazioni offerte dalla persona presumibilmente aggredita, la sussistenza dei nuovi presupposti di cui al secondo comma dell'art. 52 c.p., con un gravissimo vulnus arrecato al principio di non colpevolezza ex art. 27 comma 2 Cost.

Ciò chiarito, vengono altresì in rilievo dei rilevanti aspetti problematici anche sotto il profilo della chiara e corretta formulazione della fattispecie.

Invero la novella del 2019 ha introdotto nell'impianto originario della difesa legittima un ulteriore comma, il quarto, che rischia di conferire alla struttura complessiva dell'inciso dell'art. 52 c.p., ed alla conseguente norma ricavabile, una sequenza a dir poco contraddittoria. In particolare, la disposizione richiamata recita così: "Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone".

Tale fattispecie, che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe costituire una specificazione delle condotte scriminate descritte nel secondo e nel terzo comma dell'art. 52 c.p., laddove nel caso di specie l'offesa al bene giuridico tutelato dall'art. 614 c.p. venga posta in essere con la violenza o la minaccia dell'uso delle armi o di altro mezzo di coazione fisica, si risolve in realtà, in un caotico rimescolamento dei principi stessi che sono alla base delle cause di esclusione dell'antigiuridicità.

Come illustrato nelle pagine che precedono, infatti, le c.d. scriminanti operano sul piano dell'elemento oggettivo del reato; esse, al di là che si voglia aderire alla teoria tripartita o bipartita del reato, non involgono, almeno in astratto, il profilo soggettivo dello stesso; in tal caso si verrebbero a configurare delle cause di esclusione della colpevolezza, figure che operano con presupposti totalmente differenti rispetto alle cause di giustificazione.

Del resto, nel caso specifico della difesa legittima, il richiamo esclusivo al piano della condotta è realizzato proprio dalla costruzione di tale scriminante attorno al requisito della proporzionalità tra l'offesa arrecata e la difesa posta in essere dal soggetto che invoca l'applicabilità dell'art. 52 c.p. In particolare, come si può agevolmente notare tale disposizione, sia al 1° che al 2° comma, fa riferimento esclusivamente al rapporto che deve intercorrere tra le due azioni lesive attenzionate: quella dell'aggressore e quella del soggetto persona offesa che pone in essere la condotta reattiva al fine di tutelare i beni giuridici lesi o di cui si assume uno stato di pericolo.

Ebbene, introdurre nell'impianto generale dell'art. 52 c.p. il concetto di "stato", inteso come condizione psicologica e fattuale in cui il soggetto si troverebbe a dover operare, per fondare la legittimità della reazione di quest'ultimo all' offesa in atto e che dovrebbe, quindi, invocare l'applicabilità della scriminante in questione, finisce inevitabilmente per spostare il baricentro dell'operatività della difesa legittima sul piano squisitamente psicologico.

E' inevitabile infatti che il soggetto che in sede di accertamento giurisdizionale assume di aver agito per legittima difesa, attraverso una condotta astrattamente ascrivibile alla fattispecie decritta dal novellato 2° comma dell'art. 52 c.p., potrebbe ritenere non necessario e anzi, ben più rischioso, incentrare il proprio impianto difensivo sulla dimostrazione della sussistenza del requisito della proporzionalità della propria condotta reattiva. Quest'ultimo infatti potrebbe astrattamente limitarsi ad allegare lo "stato", ovvero la condizione non solo fattuale ma anche psico-emotiva, in cui lo stesso si è venuto presumibilmente a trovare nel momento in cui asserisce di aver respinto l'intrusione nel proprio domicilio posta in essere da soggetto estraneo con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi idonea, al fine di ritenere di aver agito per difesa legittima; quanto precede, pur peritandosi, il comma 4 dell'art. 52 c.p. di specificare che tale presunzione di "stato", deve sempre sussistere nei casi di cui al secondo e al terzo comma della disposizione in esame. In altri, termini, il necessario requisito della proporzionalità tra difesa e offesa, punto cardine su cui ruota l'intero impianto normativo della scriminante attenzionata, viene completamente svuotato non solo dalle condizioni previste dal nuovo secondo comma, ma a anche e soprattutto da una disposizione che, praticamente in via autonoma ben potrebbe assorbire, con l'esaltazione di un elemento psicologico, tutta la ratio della riforma voluta dal legislatore del 2019.

Tuttavia, come anticipato in precedenza, ciò che emerge è un quadro contraddittorio e completamente scollegato. Infatti, l'interprete e ancor più il Giudice, corre il serio rischio di trovarsi nell'assurda condizione di dover analizzare la fattispecie concreta posta alla sua cognizione, sotto due profili: il classico profilo oggettivo, sul quale la dottrina e la giurisprudenza quasi unanimi ritengono che operino le cause di esclusione dell'antigiuridicità, e il più sfumato ma incredibilmente più ampio piano soggettivo che dovrebbe essere, invece, estraneo al tema in questione. Infatti potrebbe accadere che, nonostante la clausola di specificazione prevista all'interno del comma 4 dell'art. 52 c.p., una condotta asseritamente reattiva ad una presunta offesa possa non essere proporzionata secondo i criteri del secondo comma della disposizione richiamata (per il solo fatto, magari, di reagire all'offesa con un'arma non detenuta legittimamente), ma allo stesso tempo dover ritenersi che, il soggetto presumibilmente aggredito, abbia sostanzialmente agito in uno stato di legittima difesa, proprio perché nella sua condizione fattuale, psicologica ed emotiva, si è trovato necessariamente a dover reagire alle stesse condotte lesive descritte nell'art. 52 c.p.

Del resto, quanto precede, è confermato anche dalla specificazione del requisito dello "stato di grave turbamento" richiesto dall'art. 55 secondo comma c.p., al fine di escludere che la condotta di chi ha agito invocando l'operatività della difesa legittima, sia invece da ricondurre sotto la fattispecie dell'eccesso colposo.

Il discorso è terribilmente intricato, ma lo si comprende meglio dal punto di vista del reo che subisce la reazione della persona offesa: quest'ultima gode di una presunzione di proporzionalità con riferimento alla sola condotta posta in essere per reagire oppure in caso di violazione del disposto dell'art. 614 c.p. con violenza e minaccia o con uso di armi o altri mezzi idonei, chi decide di reagire a tale offesa può ritenere di trovarsi in uno stato psicologico che gli consente qualsivoglia tipo di reazione? Le conseguenze di tale interrogativo hanno delle ricadute applicative non indifferenti posto che denoterebbero una palese violazione del novellato art. 52 c.p., del principio di sufficiente determinatezza della fattispecie, specificazione del ben più pregnante principio di legalità, con conseguenti elementi sintomatici di incostituzionalità della disposizione richiamata. Uno dei principi cardine che permea la concezione dello stato di diritto, fondato sul principio di legalità in materia penale, è infatti, quello secondo cui i consociati debbono conoscere in anticipo, grazie ad una fattispecie penale chiara e non contraddittoria, le condotte ritenute penalmente rilevanti dall'ordinamento, in modo tale da poter calcolare in anticipo e con sufficiente discernimento le conseguenze delle proprie azioni. Tali argomentazioni potrebbero sembrare assurde, da un punto di vista sociologico, dal momento che ci i dovrebbe concentrare sul soggetto che, ponendo in essere una condotta delittuosa, si trova poi a subire la reazione della persona offesa; tuttavia, se quest'ultima eccede nell'utilizzo dei mezzi di difesa e nel porre in essere la propria, proprio in base alla struttura della difesa legittima prevista dall'comma 1 dell'art 52 c.p., rischia di integrare la fattispecie incriminatrice dell'art. 55 comma 1 c.p.; mentre, nei casi in cui la reazione della persona offesa si evolve sino a slegarsi completamente dal contesto del rapporto aggressione-difesa, si arriverebbero a profilarsi ben più gravi ipotesi delittuose (lesioni personali, omicidio etc...). Pertanto, sia il reo che la persona offesa che intende reagire, debbono necessariamente essere messe in condizione di calcolare con anticipo la portata e le conseguenze delle proprie azioni: il soggetto che invoca la scriminante deve essere in grado di percepire chiaramente i confini entro i quali la sua condotta e il suo stato fattuale e psicologico possa essere ricondotto alla difesa legittima; il reo dal canto suo, ferma la violazione del precetto dell'art. 614 c.p. , nei casi in cui ci si trovi nell'ambito di applicazione dei commi 2 e 3 dell'art. 52 c.p., deve essere in grado, anche se in base ad un giudizio prognostico alquanto rudimentale, di comprendere sino a quale punto possa spingersi un'eventuale reazione del soggetto offeso perché nel caso si esaurisca la situazione di pericolo o di aggressione a quest'ultimo, le parti ben potrebbero, seppur in maniera eufemistica e contingentata, ribaltarsi: l'offeso rivestire la qualità di reo; il reo diventare persona offesa. Soprattutto perché, in maniera molto elementare, le fattispecie di reato poste in essere dal reo originario potrebbero ad un certo punto esaurirsi a causa della totale insussistenza della proporzionalità nella reazione della persona inizialmente offesa.

Tale chiarezza tuttavia, ad avviso di chi scrive, non può essere certo garantita da un impianto normativo, proprio della nuova fattispecie dell'art. 52 c.p., in cui si trovano a coesistere sostanzialmente sia l'elemento oggettivo che quello soggettivo, mettendo in discussione la categoria stessa delle cause di esclusione dell'antigiuridicità.

Un primo passo, per fare un po' di ordine all'interno di questo dibattito, potrebbe essere rappresentato dal superamento, all'interno del sistema delle cause di giustificazione, della convinzione secondo cui le stesse opererebbero esclusivamente sul piano esclusivo dell'elemento oggettivo.

Vi è da dire, in realtà, che parte della dottrina ha già più volte sottolineato come una dicotomia così netta, che potrebbe riassumersi nella differenziazione tra scriminanti e cause di esclusione della colpevolezza (financo della punibilità), in realtà sarebbe molto più sfumata di quanto si pensi proprio con riferimento all'analisi delle singole fattispecie delle cause di esclusione dell'antigiuridicità.

Come è noto, le cause di esclusione della colpevolezza, o scusanti, involgono il profilo strettamente psicologico presente nella struttura del reato: esse infatti, impediscono all'elemento soggettivo della condotta delittuosa di configurarsi in capo al soggetto agente. In sostanza esse si fondano sul fatto che in determinate condizioni, non potrebbe essere esatto dal soggetto agente lo specifico comportamento lecito. In tal caso, quindi, viene precluso all'ordinamento di muovere nei confronti di quest'ultimo un giudizio di rimproverabilità personale e incidendo sull'elemento soggettivo del reato non fanno venir meno l'illiceità del fatto antidoveroso2, a differenza delle scriminanti che, invece, operando sul piano oggettivo, rendono lecita una condotta che presa ab origine, integrerebbe pienamente una fattispecie incriminatrice.

Quanto precede, ci permette di introdurre il vero punto critico di questa parte della trattazione, perché pone sul piano del dibattito la spinosa questione del riconoscimento esplicito, anche nel diritto penale sostanziale, del c.d. principio di inesigibilità.

Per inesigibile, sotto il profilo semantico, si intende ovviamente un qualcosa che in una determinata situazione non può essere pretesa o un contegno che, in virtù di specifici fattori, non può essere tenuto.

Sotto il profilo giuridico, come già anticipato in precedenza, il principio di inesigibilità fa sì che non si possa pretendere da parte di un soggetto una determinata condotta lecita in luogo di quella astrattamente delittuosa che viene poi concretamente posta in essere.

Tale principio tuttavia, ancora oggi non trova un espresso riconoscimento all'interno del nostro diritto positivo. Anzi, una sua teorizzazione come "causa generale ed autonoma preterlegale di esclusione della colpevolezza"3 è continuamente osteggiata dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritaria. Questa non è ovviamente la sede per ripercorrere le vicende travagliate che affliggono il dibattito sul riconoscimento di una clausola generale di esclusione della colpevolezza fondata sull'inesigibilità di un determinato comportamento in ogni situazione, anche non tipizzate, che si potrebbe porre all'attenzione dell'interprete.

Sia concesso solo dire che la configurazione espressa e finalmente positivizzata del principio di inesigibilità della condotta lecita sarebbe necessaria in quanto a livello dogmatico, "l'esistenza di una clausola non codificata di esclusione della colpevolezza risiede nella considerazione secondo cui la colpevolezza, nella prospettazione normativa, deve richiedere inevitabilmente l'esigibilità del comportamento conforme al dovere"4. Il soggetto, infatti, deve essere posto nella condizione di autodeterminarsi liberamente all'interno del naturale processo di formazione della propria volontà, potendo quindi predeterminare le scelte che porrà in essere.

Pertanto, sotto tale profilo, non è possibile pensare di punire taluno che, concretamente, non è nelle condizioni di tenere il comportamento diverso da quello sanzionato dalla fattispecie penale.

Ebbene, questa netta chiusura di gran parte della dottrina e giurisprudenza è stata poi concretamente sfumata dagli stessi operatori che proprio in tema di scriminanti, hanno fatto notare come all'interno delle stesse il coinvolgimento o addirittura un implicito riconoscimento del principio di inesigibilità sia da ritenersi evidente sino al punto di costituirne il fondamento stesso. Si pensi ad esempio alla causa di giustificazione dello stato di necessità, ove l'inesigibilità di un determinato comportamento, quello lesivo del bene giuridico che nel giudizio di comparazione degli interessi contrapposti, viene sacrificato. In tal caso, rimproverare l'agente di tale condotta, non sarebbe soltanto impossibile sotto il profilo strettamente oggettivo, in quanto si è realizzato un comportamento la cui antigiuridicità e esclusa in nuce dall'ordinamento, ma sarebbe anche illogico dal punto di vista dell'elemento soggettivo, posto che psicologicamente al soggetto agente non può muoversi alcun rimprovero. Da quest'ultimo infatti, qualora si accerti che abbia agito in stato di necessità, non si sarebbe potuta esigere una condotta diversa da quella concretamente posta in essere, dal momento che il processo di formazione della volontà e della libera autodeterminazione è stato inevitabilmente alterato.

Tali argomentazioni possono essere spese anche e soprattutto per quanto riguarda la legittima difesa, con la consapevolezza che in tal caso però, il discorso si fa più complesso. Tale scriminante, infatti, rappresenta una fattispecie in cui la pretesa punitiva dello stato viene delegata nella sua massima portata e con tutte le ricadute sotto il punto di vista sociale che si possono immaginare. Tuttavia, seppur con molti limiti, anche con riferimento all'art. 52 c.p., si è cominciato a spostare il dibattito dalla pura e semplice proporzionalità della reazione all'offesa, profilo squisitamente oggettivo, posto che attiene all'analisi di entrambe le condotte attenzionate, al piano della concreta rimproverabilità, sul versante psicologico, del soggetto che si trova a dover fronteggiare l'aggressione.

In altre parole ci si è chiesto se anche in presenza di una reazione sproporzionata e quindi potenzialmente rientrante nella fattispecie dell'eccesso colposo ex art. 55 c.p., o addirittura in una autonoma e differente fattispecie delittuosa, il particolare stato psicologico ed emotivo nonché fattuale in cui si trova la persona che pone in essere la vis reattiva, possa comunque fondare, sulla base del principio dell'inesigibilità del comportamento doveroso, l'applicabilità nel caso concreto dei presupposti della difesa legittima.

A detta dell'orientamento maggioritario sopra menzionato, la risposta sembrerebbe negativa. Tuttavia, se sotto l'ottica dell'impianto sistematico la novella del 2019 potrebbe aver introdotto degli elementi di contraddittorietà, il comma 4 dell'art. 52 c.p. sembrerebbe aver finalmente positivizzato, non solo implicitamente, una vera e propria declinazione del principio di inesigibilità all'interno del diritto penale sostanziale e, soprattutto, all'interno delle cause di giustificazione. Invero, l'inciso secondo cui "Nei casi di cui al secondo e al terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l'intrusione posta in essere con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone", come ampiamente illustrato nelle pagine che precedono, capovolge, si potrebbe dire quasi in maniera rivoluzionaria, la concezione stessa delle cause di giustificazione e, in particolare, della difesa legittima. Invero, seppur sempre nei casi di cui al secondo e terzo comma, al soggetto che agisce per difendere sé o gli altri al fine di respingere un determinato tipo di aggressione, non è più richiesto (sembrerebbe in maniera quai assoluta) il rispetto del requisito della proporzionalità della reazione rispetto all'offesa (peraltro già svuotato nelle dinamiche descritte dalla novella); in questo caso alla persona offesa, affinchè possa operare la scriminante in esame, viene riconosciuta la possibilità di trovarsi in uno "stato di legittima difesa", presuntivamente sussistente, inteso come atteggiamento psicologico ed emotivo che consente alla stessa di agire anche oltre qualsivoglia requisito di proporzionalità ma soprattutto impone all'ordinamento di non richiedere al soggetto in questione alcun comportamento lecito doveroso, proprio perché si presume non essere in condizioni di attuarlo.

Quanto precede è ancor di più evidente se si analizza la struttura dell'eccesso colposo così come modificato dalla riforma in esame. Infatti l'inciso del 2 comma dell'art. 55 c.p., ribadisce inequivocabilmente il riconoscimento esplicito di una dirimente valutazione del profilo soggettivo anche in tema di scriminanti. Invero, tale disposizione, statuisce espressamente che "nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell'art. 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia dell'altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all'art. 61 1 comma n. 5), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto."

Il portato normativo della nuova formulazione dell'eccesso colposo è profondo. Esso, si sviluppa lungo una solida direttrice che capovolge e fermenta ex novo il dibattito su quale piano, o piani, operino realmente le cause di esclusione dell'antigiuridicità del fatto. La direttrice è quella del rafforzamento della valutazione del profilo psicologico che l'interprete è chiamato ad effettuare. Invero, introducendo nel combinato disposto dell'art. 52 commi 2 e 4 e dell'art. 55 c.p. il concetto di "stato di grave turbamento", inteso, anche e soprattutto in questo caso, come condizione psicologica, emotiva e anche fattuale (lo stato di grave turbamento deve derivare infatti dalla situazione di pericolo in atto), non solo costituisce una più completa specificazione del concetto di stato di legittima difesa di cui al quarto comma dell'art. 52 c.p., ma dimostra inequivocabilmente come la riscrittura operata dal Legislatore del 2019, nei casi attenzionati, abbia comportato un significativo spostamento del baricentro di operatività della difesa legittima verso l'elemento soggettivo del reato. In tali casi, il giudizio dell'interprete sulla proporzionalità della reazione all'offesa e quindi sulla condotta del soggetto che invoca la scriminante de quo, è completamente estraneo: affinchè quest'ultimo vada esente da pena e far sì che la propria azioni rientri nel perimetro della difesa legittima, è sufficiente che dimostri di aver posto in essere la propria condotta reattiva in uno stato di alterazione psicologica ed emotiva (turbamento) assolutamente non controllabile da una lucida volontà (?) causato dal contesto di pericolo in cui si trova e che ancora non si è esaurito. Viene quindi totalmente eradicata la valutazione sulla reale portata e proporzione, sotto il profilo dell'elemento oggettivo, della condotta. Essa, potrà anche non rientrare nel perimetro di proporzionalità richiesto dal primo dell'art. 52 c.p., integrando astrattamente la fattispecie dell'eccesso colposo di cui all'art. 55 c.p. primo comma; a causa dell'alterazione della libertà di autodeterminarsi del soggetto, dovuta allo stato di grave turbamento, il giudizio di rimproverabilità nei confronti di quest'ultimo dovrà escludersi.

Da quanto precede sembrerebbe, quindi, che il principio di inesigibilità della condotta doverosa, anche se non come clausola generale di esclusione della colpevolezza, abbia fatto definitivamente ingresso nell'ordinamento penale sostanziale. Invero le valutazioni del profilo psicologico sopra illustrate, laddove realmente sussistenti nell'azione posta in essere al soggetto che invoca la scriminante, hanno un un'unica conseguenza: quella di impedire che l'ordinamento pretenda, da un soggetto in stato di grave turbamento causato dalla situazione di pericolo in atto, il comportamento doveroso richiesto: nel caso di specie la serena e lucida capacità di una reazione proporzionata e calibrata all'offesa ricevuta.

Quel che è certo è che sarebbe stato più idoneo strutturare tali determinazioni proprio in connubio con una clausola di inesigibilità generale finalmente espressa e riconosciuta come operante; clausola che, una volta specificata nelle singole fattispecie, potesse trovare un organica, univoca e concreta applicazione, senza incorrere nel rischio di un'applicazione analogica della fattispecie penale ovvero, anche in questo caso, in una costruzione dell'inciso normativo fumosa, poco chiara e contraddittoria.

D'altra parte, la netta differenziazione dei piani di operatività in cui la difesa legittima attuale si trova ad operare, sembrerebbe aver scisso tale disposizione in due figure distinte ed autonome: il primo comma dell'art. 52 c.p. continuerebbe ad operare come causa di esclusione dell'antigiuridicità, imponendo all'interprete una valutazione complessiva ed esclusiva sul piano oggettivo del reato, valutando la proporzionalità della reazione all'offesa ricevuta; i commi introdotti e riformati dalla novella del 2019 (2-3-4 dell'art. 52 c.p. in combinato con l'art. 55 comma 2), invece, si atteggerebbero oramai come delle cause di esclusione della colpevolezza vere e proprie che non hanno nulla a che vedere con la difesa legittima intesa come scriminante. Queste nuove fattispecie, invero, atteggiandosi come declinazioni espresse e specifiche dell'inesigibilità della condotta doverosa, introdurrebbero nel nostro ordinamento nuovi elementi di valutazione della sussistenza dell'elemento psicologico che, come ripetuto più volte, è totalmente estraneo al tema delle cause di esclusione dell'antigiuridicità del fatto. Pertanto, in questi casi, sarebbe anche errato parlare di difesa legittima: si sarebbe dinnanzi ad una "inesigibilità legittima" posto che la valutazione sull'azione di difesa posta in essere è totalmente irrilevante: il rapporto riguarderebbe solo due elementi: LA SITUAZIONE DI PERICOLO (CAUSA) - STATO DI GRAVE TURBAMENTO (EFFETTO); la condotta reattiva verrebbe relegata a mera dinamica di estrinsecazione dell' agire del soggetto, irrilevante fini dell'integrazione della fattispecie descritta dall'art. 52, 2-3-4 c.p. comma e 55, 2 comma c.p..

Il ragionamento che precede, seppur sotto un profilo differente rispetto a quello attenzionato, ovvero la volontà (più o meno consapevole) del Legislatore del 2019 di evolvere le predette fattispecie verso qualcosa di differente e autonomo rispetto alla scriminante della difesa legittima e di tutte le classiche figure di cause di esclusione dell'antigiuridicità, è rappresentata dalla circostanza che l'inciso del secondo comma dell'art. 55 c.p. parla di punibilità e non di colpevolezza come elemento che viene escluso nel caso in cui un soggetto commetta il fatto in stato di grave turbamento derivante dalla situazione di pericolo in atto. Il fatto delittuoso, invero, sembrerebbe commesso e integrato pienamente in ogni sua declinazione, con conseguente sussistenza della piena antigiuridicità dello stesso e dell'impossibile qualificazione della fattispecie di riferimento come scriminante.

In definitiva, nell'impianto degli artt. 52 e 55 c.p. nella loro versione novellata, sarebbero rinvenibile contemporaneamente tre figure distinte: una causa di esclusione dell'antigiuridicità al primo comma dell'art. 52 c.p.; una causa di esclusione della colpevolezza che nasce dal combinato disposto dei commi, 2,3 e 4 dell'art. 52 e del secondo comma dell'art. 55 c.p. con riferimento all'ipotesi dello stato di grave turbamento; infine una causa di non punibilità in senso stretto, in concorrenza con l'assenza di colpevolezza, presente nell'economia generale dell'art. 55, 2 comma.

Ciò chiarito, è evidente che all'interno di un impianto sistematico così alterato viene notevolmente vulnerata la costruzione tassativa e sufficientemente determinata del precetto penale, con conseguenti ricadute applicative sotto il profilo della liceità costituzionale del recente intervento del Legislatore e, soprattutto, sotto il profilo della tenuta di un tessuto sociale che dovrebbe essere sempre messo in condizione di calcolare anticipatamente e chiaramente le ripercussioni delle proprie azioni.

Perché se da un certo punto di vista è estremamente comprensibile che la struttura delle scriminanti e, in particolare, di quelle che prevedono un forte coinvolgimento psico-emotivo del soggetto agente, evolva verso una sempre più frequente osmosi tra il piano dell'elemento soggettivo e dell'elemento oggettivo come la difesa legittima, in quanto è obiettivamente impossibile, in questo caso pretendere che la persona riesca a orientarsi liberamente nella formazione di un condotta doverosa (reazione proporzionata all'offesa) è altrettanto vero che la delegazione della potestà punitiva in favore del singolo cittadino necessita di una base normativa che preveda presupposti lineari e in alcun modo contraddittori. In questo caso, infatti, non viene in rilievo solo la possibilità del consociato di difendersi o difendere gli altri dai pericoli o dalle aggressioni che potrebbe subire; viene in rilievo un bilanciamento di valori e di beni giuridici tutelati che involge innanzitutto il primario bene della vita. E quest'ultimo, all'interno di uno Stato di Diritto, non è ammissibile che possa agevolmente recedere semplicemente perché taluno si trova in un non meglio specificato stato di turbamento, ancorchè grave (?) e all'interno di determinati luoghi. Se così deve essere, sarebbe stato meglio che il Legislatore, in una riforma di tale portata, si fosse peritato di specificare innanzitutto cosa intende per stato di grave turbamento; inoltre sarebbe stato assolutamente opportuno inserire, anche all'interno delle nuove figure introdotte, un saldo riferimento al profilo oggettivo della proporzionalità della condotta rispetto all'offesa posto che la capacità di mettere in atto un comportamento doveroso non rileva soltanto sotto il profilo negativo (l'impossibilità di attuarlo); emerge anche sotto il profilo positivo, quando dall'indagine di tutti gli elementi presenti nel caso concreto viene in rilievo che il soggetto avrebbe potuto, anche in una situazione di pericolo, in virtù delle su capacità e delle sue possibilità, serenamente orientarsi per porre in essere una reazione proporzionata che non necessariamente, tenendo conto della natura dell'offesa e dell'interesse protetto aggredito o messo in pericolo, deve sempre sacrificare il bene della vita.

Non è sufficiente che una norma sia contenuta in un atto formale approvato dal supremo organo rappresentativo della volontà popolare, per considerarsi manifestazione del diritto tra gli uomini, pur se indubbiamente rilevante sotto il profilo positivo.

Perché se è vero che la Legge è per tutti il Ius, purtroppo, è ancora per pochi.

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1) CARINGELLA - DELLA VALLE - DE PALMA, Manuale di DIRITTO PENALE Parte Generale, VIII edizione, p. 748; V. anche MANTOVANI, Diritto Penale, 2007, pp. 232 ss.;

2) FRANCESCO CARINGELLA, FRANCESCO DELLA VALLE, MICHELE DE PALMA, Manuale di diritto penale parte generale, pp. 751-752

3) SCARANO, La non esigibilità del diritto penale; FRANCESCO CARINGELLA, FRANCESCO DELLA VALLE, MICHELE DE PALMA, Manuale di diritto penale parte generale, p. 1131

4) FRANCESCO CARINGELLA, FRANCESCO DELLA VALLE, MICHELE DE PALMA, Manuale di diritto penale parte generale, p. 1131