LA RESPONSABILITA' CIVILE DEL CURATORE FALLIMENTARE: NATURA E GRADO DI DILIGENZA RICHIESTA

01.02.2020

Dott.ssa Cristina Levatino

La legge fallimentare non dedica ampio spazio al tema della responsabilità civile del curatore, limitandosi ad affermare che, alla stregua del disposto di cui all'art. 38, co. 1, L.F., primo periodo "Il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico".

La disposizione da ultimo citata, a seguito delle modifiche introdotte dalla riforma del 2006 ha subìto dei mutamenti. Con la finalità di delineare i caratteri della diligenza, è stato imposto al curatore di adempiere ai doveri del proprio ufficio con la "diligenza richiesta dalla natura dell'incarico (1)", con ciò allineando la previsione in commento a quella prevista dall'art. 2392, co. 1 c.c. per gli amministratori della società di capitali, che però correla la diligenza richiesta non solamente alla natura dell'incarico, ma anche alle "specifiche competenze (2)" degli amministratori, termini omessi in relazione alla responsabilità del curatore in quanto sarebbe ridondante richiedere specifiche competenze al medesimo, atteso che esse, data la sua veste di professionista, sono condizioni insite nel conferimento dell'incarico. Ad un curatore è possibile richiedere quelle competenze che caratterizzano la sua professione, ovvero competenze giuridiche o economico - giuridiche, non anche quelle che sono appannaggio di altre professioni o di altre branche della scienza (3).

Il curatore del fallimento, inserendosi come figura professionale all'interno della procedura, è quindi tenuto a rispettare la diligenza propria che gli deriva, con riguardo alla natura dell'attività esercitata (art. 1176 co. 2 c.c.). Questo principio che, ben si presta all'attività amministrativa, nella quale la professionalità del curatore emerge di più, deve riguardare l'intero suo operato, e quindi, anche l'assolvimento di tutti quei compiti più strettamente procedurali.

Porre quindi a carico del curatore l'obbligo di tenere un comportamento diligente, significa avere sempre presente quali sono gli obiettivi che la procedura intende raggiungere, ed ai quali le azioni che pone in essere devono in ogni istante ispirarsi: la soddisfazione delle ragioni creditorie nel rispetto del principio della par condicio creditorum e nella garanzia del fallito (4).

Tuttavia la responsabilità del curatore è da ricondurre ad una responsabilità non da atti, ma da attività, nel senso che si dovrebbe avere ad oggetto la valutazione dell'amministrazione nel suo complesso: anche di fronte a una singola omissione, si dovrebbe perciò tenere conto altresì degli aspetti positivi del suo pregresso agire (5).

Nel sistema previgente si sosteneva che il curatore rispondesse per dolo o per colpa grave, anche per colpa lieve. In seguito alla riforma, però, essendo richiesto al curatore di adempiere i doveri dell'ufficio secondo la diligenza professionale, dovrebbe risultare nei suoi confronti applicabile, quantomeno in via analogica, la disposizione dell'art. 2236 c.c., che disciplina la responsabilità del professionista al solo caso della "colpa grave", qualora la prestazione richiesta implichi la soluzione di problemi di speciale difficoltà.

Si deve tener presente che la ratio dell'art. 2236 c.c. rappresenta una clausola di salvaguardia soltanto nel caso in cui il mancato esatto adempimento derivi da "imperizia" nella soluzione di un problema specifico che si dimostri di speciale difficoltà, mentre la disposizione non può trovare applicazione qualora l'inadempimento sia derivato da mancanza di diligenza (nell'osservanza della legge o del piano di liquidazione) o da imprudenza (6).

L'ambito della responsabilità del curatore ex art. 38 L.F., è riconducibile al concetto di adempimento (esatto) dei doveri d'ufficio, ma, mentre nel sistema previgente la disposizione aveva una previsione molto ampia, la cui formula consentiva di farvi rientrare aspetti di responsabilità per ogni e qualsiasi atto posto in essere dal curatore fallimentare, il legislatore del 2006 circoscrive il campo della responsabilità individuandola attraverso il richiamo all'adempimento dei doveri "imposti dalla legge" e dal "piano di liquidazione approvato", che finiscono con il rappresentare gli unici punti di riferimento della corretta azione dell'organo pubblico, nonché il limite massimo della sua responsabilità.

Il richiamo al rispetto della legge potrebbe apparire superfluo, posto che il curatore del fallimento, in quanto tale, e come pubblico ufficiale, è tenuto al rispetto della legge, essendo del tutto ovvio che il suo mancato adempimento non può comunque che essere fonte di responsabilità. Essendo positivamente indicati i riferimenti dell'oggetto del diligente adempimento, appare ovvio che il curatore non può essere chiamato a rispondere per profili differenti che eventualmente gravino sull'amministrazione e sulla liquidazione del patrimonio fallimentare. In particolare il curatore non può essere chiamato a rispondere in relazione al "merito" della scelta gestionale o liquidatoria, se non nella misura in cui questa sia frutto di un mancato rispetto delle regole imposte dalla legge o dal piano di liquidazione, di tal ché non potrà essere la non felice o errata scelta di merito sull'atto gestorio ad influire sulla responsabilità, quanto l'inosservanza della legge in sé e per sé considerata.

Ovviamente non è possibile svolgere una classificazione panoramica delle fonti normative alle quali il curatore deve adeguarsi, mentre è possibile fare un breve elenco dei doveri per esso previsti dalla L.F., come ad esempio norme relative all'ufficio del curatore, norme riguardanti l'acquisizione, custodia ed amministrazione del patrimonio fallimentare, norme attinenti ai rapporti con i creditori, norme attinenti alla liquidazione del patrimonio.

La norma oggetto ad esame individua come parametro di responsabilità anche il piano di liquidazione il quale costituisce un novum, che conferma l'importanza essenziale di questo atto, la cui configurazione, è una fattispecie a formazione progressiva (proposta dal curatore, osservazioni del comitato dei creditori, approvazione successiva del giudice delegato - art. 104 ter L.F.).

L'inosservanza della legge e/o del piano di liquidazione costituisce causa di non esatto adempimento e ciò non può derivare, quantomeno, da mancanza di diligenza alla quale deve essere ricondotta anche la "imperizia grave". Questa è, a sua volta, espressione di mancanza di diligenza. Infatti è ritenuto non "diligente" colui che non pone rimedio alla propria carenza di "perizia" in una data materia, in quanto è evidente l'impossibilità di svolgere in modo corretto e preciso la prestazione professionale.

Il fatto che la legge permetta al curatore di avvalersi della collaborazione di "tecnici" o di altre persone o del fallito (previa autorizzazione del comitato dei creditori), evidenzia che essa ha dato al curatore lo strumento per ovviare e porre rimedio alla propria "imperizia", e il mancato ricorso all'aiuto di tecnici e/o collaboratori si traduce in responsabilità per gli eventuali danni cagionati. In questo caso il curatore è responsabile non per il fatto di essere "non perito", quanto del fatto di non essere stato diligente per non essersi reso conto della propria mancanza di perizia in una determinata materia (7).

La modificazione del contenuto e del perimetro della responsabilità è il frutto della diversa ripartizione dei poteri tra gli organi della procedura fallimentare. Il curatore è diventato un soggetto che ha l'iniziativa nella conduzione delle "operazioni fallimentari" e non è più un semplice esecutore della volontà del giudice delegato; questi a sua volta ha assunto una posizione di terzietà e di controllo della regolarità legale dello svolgimento dell'attività degli altri organi. Il comitato dei creditori è divenuto un organo maggiormente coinvolto nella gestione della procedura, esercitando un controllo dell'attività del curatore. In questa diversa strutturazione dei rapporti fra i tre organi fallimentari, devono essere lette la ratio e la portata innovativa dell'art. 38 L.F. e la circoscrizione della responsabilità all'aspetto dell'osservanza della legge e del piano di liquidazione che diventano la bussola della condotta del curatore.

Controversa è la natura della responsabilità del curatore per violazione di doveri dell'ufficio. Si contendono la scena due teorie: quella della responsabilità contrattuale e quella della responsabilità extracontrattuale.

Presupposto della responsabilità contrattuale è che l'obbligazione di risarcimento del danno nasca da un inadempimento contrattuale, quindi dall'omessa o ritardata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta. L'inadempimento contrattuale trova fonte nella colpa del prestatore, per cui il soggetto danneggiato non si limita alla prova dell'inadempimento e del danno subito, con la conseguenza che in subiecta materia trova applicazione la disposizione all'art. 1218 c.c., la quale sancisce che spetta al prestatore provare la "impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile".

Quando la prestazione, che costituisce l'obbligazione contrattuale, "implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore non risponde dei danni, se non in caso di dolo o colpa grave" (Art. 2236 c.c.): non c'è quindi la responsabilità quando l'inadempimento è causato da colpa lieve.

A questa tipologia di responsabilità si contrappone quella extracontrattuale, introdotta agli inizi del secondo secolo d.C. dal tribuno romano Aquilio - da qui "responsabilità aquiliana" - oggi in forza dell'art. 2043 c.c., la quale sorge per effetto del compimento di un atto illecito, dalla violazione cioè del comando "neminem leaedere (8)", con la conseguenza che il trasgressore diventa debitore del soggetto danneggiato di un importo commisurato al danno da questi patito. Il danneggiato che agisce invocando la responsabilità aquiliana, deve provare, oltre alla condotta illecita dell'autore e il rapporto causale tra la condotta e il danno, anche la colpa o il dolo dell'autore medesimo, quest'ultimo non può liberarsi dalla responsabilità, proprio perché ha commesso un atto non dovuto, eccependo la colpa lieve.

La diversa qualificazione giuridica conferibile alla "responsabilità", prevista dall'art. 38 L.F., e alla sua causa incide, sotto il profilo sostanziale in relazione al termine prescrizionale che sarebbe di soli cinque anni nel caso in cui si versi in una species di responsabilità aquiliana, e in dieci anni se si ritiene che si tratti di responsabilità contrattuale (9).

Qualora il curatore violi, nell'esercizio delle sue attività, obblighi propri di qualsiasi soggetto di diritto, risponde in via extracontrattuale.

Nell'ipotesi di danni arrecati a terzi con il compimento di un fatto illecito, doloso o colposo, da parte della curatela, la natura della responsabilità del curatore è senza dubbio di tipo extracontrattuale, poiché il curatore, al pari di ogni altro soggetto di diritto, deve sottostare al precetto contenuto nell'art. 2043 c.c.

Di più difficile soluzione sono tutti quei casi in cui il curatore, con la propria condotta arreca un danno al fallimento e quindi alla massa dei creditori, e per i quali il legislatore ha previsto i rimedi endofallimentari. In queste ipotesi si deve condividere l'orientamento dominante della dottrina, che qualifica detta responsabilità come contrattuale.

Il curatore sarà responsabile circa l'operato dei delegati e dei coadiutori (art. 32 L.F.). Per i primi l'organo della procedura risponde non solo per culpa in vigilando, vale a dire qualora il danno scaturito dal colpevole comportamento dell'ausiliario non si sarebbe verificato, se il curatore stesso avesse diligentemente vigilato sull'attività di questi, ma, altresì, per culpa in eligendo, tenuto conto, a tale ultimo riguardo, che il potere di nomina del delegato compete senz'altro al curatore (10).

Il co. 2 dell'art. 32 consente al curatore di ottenere l'autorizzazione del comitato dei creditori a farsi coadiuvare "sotto la sua responsabilità". Da questa disposizione emerge che l'organo della procedura è responsabile anche dell'operato del coadiutore unicamente per culpa in vigilando. Difatti, poiché il coadiutore agisce nell'interesse della procedura e non già del curatore, si è negato che l'organo gestorio, benché abbia provveduto a designarlo, assuma nei confronti del coadiutore la veste di proponente e possa conseguentemente risponderne dell'operato nei termini di cui all'art. 2049 (11) c.c.

Ai sensi della seconda parte del co. 1 dell'art. 38, "Il curatore deve tenere un registro preventivamente vidimato da almeno un componente del comitato dei creditori, e annotarvi giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione".

Trattasi del c.d. "libro - giornale" del fallimento la cui funzione è quella di determinare l'andamento economico della procedura, onde consentire, all'atto della chiusura, la quantificazione del risultato della gestione (12).

Operativamente, quindi, il curatore, comprato o predisposto un libro giornale, chiede ad uno qualsiasi dei membri del comitato dei creditori di vidimargli (firmargli pagina per pagina) il libro. Se il comitato dei creditori non è stato ancora nominato o non si riesce a nominare o è inerte, può rivolgersi al giudice delegato, che, in questi casi si sostituisce al comitato, a norma dell'art. 41 L.F. Non vi è una formula particolare, in quanto basta chiedere al giudice di vidimare il libro giornale in sostituzione del comitato dei creditori mancante.

Quanto all'azione di responsabilità per inadempimento ai doveri del curatore, mirando a risarcire un danno patito dalla massa dei creditori, alla stregua del disposto di cui al co. 2, dell'art. 38 L.F., è sancito che, può essere esercitata solo in costanza di fallimento, vale a dire quando esiste ancora il possibile beneficiario. L'esercizio dell'azione risarcitoria richiede, ma non postula imprescindibilmente la revoca dell'incarico del curatore asseritamente responsabile. In merito si è pronunciata la S.C. statuendo quanto segue: È ammissibile l'azione di responsabilità nei confronti del cessato curatore fallimentare, pur in assenza della previa revoca dell'incarico e nonostante l'avvenuta approvazione del rendiconto, in quanto, da un lato, nonostante l'art. 38 L.F. preveda l'ipotesi della revoca del curatore prima dell'esercizio dell'azione di responsabilità, tale indicazione non deve considerarsi tassativa, bensì solo normale secondo "l'id quod plerumque accidit", con esclusione, quindi, di ogni effetto preclusivo in dipendenza di dimissioni volontarie e preventive, accettate dall'ufficio e seguite da sostituzione, e dall'altro lato, perché l'approvazione del rendiconto non ha effetto preclusivo di detta azione, che ha la sua sede naturale, ma non esclusiva, nel giudizio di rendiconto, attesa l'ammissibilità della scissione del controllo gestionale da quello contabile (13).

L'azione di responsabilità in danno del curatore revocato, quale legittimato passivo, spetta al nuovo curatore al quale compete l'iniziativa processuale, ma egli deve munirsi dell'autorizzazione del giudice delegato ovvero del comitato dei creditori.

Non è agevole comprendere quali ragioni abbiano ispirato la scelta di attribuire il potere di autorizzazione dell'azione di responsabilità sia al giudice delegato sia al comitato dei creditori.

La sottoposizione dell'esercizio all'azione di responsabilità all'autorizzazione del comitato dei creditori potrebbe interpretarsi come un corollario, od una conseguenza necessaria, di una configurazione del ruolo del giudice delegato che ne sottolinea la funzione di vigilanza, attenuandone ogni potere di indirizzo (che non si prospetta più come un potere di "direzione") del procedimento fallimentare. Ma apparirebbe trattarsi di un'interpretazione confliggente con l'attribuzione al giudice delegato di un concorrente potere di autorizzare l'esercizio all'azione di responsabilità (e che mal si coordinerebbe anche con la constatazione che la revoca del curatore, è prerogativa esclusiva del Tribunale fallimentare). Inoltre la legge di riforma ha mantenuto in capo al g.d. il potere di autorizzare il curatore a stare in giudizio, escludendo qualsiasi potere del comitato dei creditori al riguardo. Né sembrerebbe proficuo interrogarsi sulle ragioni che possono determinare l'iniziativa di un'azione di responsabilità contro il curatore, dal momento che non è agevole immaginare che il giudice delegato e il comitato dei creditori possano ravvisare l'utilità di promuovere l'azione di responsabilità sotto profili diversi, od in vista di differenti obiettivi. Perché l'azione di responsabilità sia fondata, occorre che il curatore abbia mancato ai propri doveri, e l'intento che ispira l'esercizio dell'azione di responsabilità non può consistere in altro che l'interesse a conseguire il risarcimento del danno causato ai creditori dalla condotta del curatore. La difficoltà di rintracciare una ratio nella scelta del legislatore rende altresì precario ogni tentativo di individuare un'argomentazione univoca. Così il tenore letterale della norma, con la congiunzione "ovvero" pone su un piano di parità il giudice delegato e il comitato dei creditori (14).

Ancor prima della chiusura della procedura fallimentare, legittimato è anche il fallito, qualora gli organi fallimentari abbiano manifestato mero disinteresse rispetto all'esercizio dell'azione ed il pregiudizio si configuri in via esclusiva per l'imprenditore fallito, ossia allorquando il pregiudizio derivato dalla violazione dei doveri incombenti sul curatore abbia, sì, comportato diminuzione del valore economico del patrimonio da monetizzare, senza, tuttavia, generarne l'insufficienza in rapporto al monte delle pretese da soddisfare nel concorso (15).

L'azione di responsabilità contro il curatore revocato decorre dal provvedimento di revoca e contestuale nomina del nuovo curatore e si prescrive ( in ragione del fatto che non ha natura extra contrattuale) nell'ordinario termine decennale, in considerazione della natura del rapporto, del tutto equiparabile al mandato, e decorre a far data dal giorno della sostituzione del curatore infedele, a nulla rilevando che l'illecito a lui addebitato risalga ad epoca notevolmente anteriore, potendo la prescrizione legittimamente decorrere soltanto " dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere", giusta disposto dell'art. 2935 c.c.

L'ultimo co., dell'art. 38 ripropone il principio per cui il curatore che a qualunque titolo cessa, anche nel corso della procedura, dal suo ufficio deve rendere il conto della gestione a norma dell'art. 116, ossia deve fornire al giudice delegato "l'esposizione analitica delle operazioni contabili e della attività di gestione della procedura".

Il giudizio di approvazione del rendiconto presentato dal curatore ha ad oggetto oltre che la verifica contabile anche l'effettivo controllo di gestione e può estendersi all'accertamento della personale responsabilità nel compimento di atti pregiudizievoli per la massa o per i singoli creditori; in quest'ultimo caso il diniego di approvazione deve essere preceduto dal concreto riscontro di tutti i requisiti di riconoscimento della responsabilità, incluso il pregiudizio eventualmente cagionato alla massa o a uno dei creditori1 (16).

La disciplina della responsabilità del curatore è contenuta nell'art. 136 CCII. Il primo periodo è identico a quello stabilito dall'art 38 L.F. Per quanto concerne il secondo periodo del co. 1, dell'art. 136 CCII è previsto che l'organo della procedura tenga un registro informatico, consultabile telematicamente, oltre che dal giudice delegato, da ciascuno dei componenti del comitato dei creditori e in cui il curatore deve annotare giorno per giorno le operazioni relative alla sua amministrazione, apponendo mensilmente la firma digitale e la marca temporale, in conformità alle regole tecniche per la formazione, la trasmissione, la conservazione, la copia, la duplicazione, la riproduzione e la validazione dei documenti informatici.

Nel caso di sostituzione del curatore, l'azione di responsabilità contro il curatore revocato o sostituito è proposta dal nuovo curatore, previa autorizzazione del giudice delegato (art. 136 co. 3 CCII). Il curatore che cessi dal suo ufficio, anche durante la liquidazione giudiziale, nonché al termine dei giudizi e delle altre operazioni di cui all'art. 233, comma 2, CCII (cioè giudizi conclusi e operazioni svolte successivamente alla chiusura della procedura), deve rendere il conto della gestione, comunicandolo anche al curatore eventualmente nominato in sua vece, il quale può presentare osservazioni e contestazioni (Art. 136 co. 4 CCII).


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1 Nel sistema previgente l'art. 38 stabiliva che il curatore doveva adempiere ai doveri del proprio ufficio con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176, co. 1 c.c.) che, nel fallimento significava conformarsi da un lato alle direttive generali del giudice delegato e dall'altro a quelle specifiche per i singoli atti, ed era integrata dalla responsabilità specifica della professionalità dell'opera che era chiamato a svolgere.

2 La scelta degli amministratori, come recita l'art. 2392 c.c. avviene in relazione a "specifiche competenze"; vale a dire ad esempio in campo ingegneristico o di operazioni di borsa, in campo farmaceutico o in campo alimentare.

3 De Crescienzo U., La responsabilità del curatore fallimentare: la nuova disciplina, in Il fallimento. 2009, n.4, pag. 377., Verna G., La responsabilità del curatore fallimentare, in Riv. Dottori commercialisti, a. 2010, fasc. 1, pag. 163

4 Capocchi A., Prescrizione dell'azione di responsabilità avverso il curatore, in Il fallimento a. 2002, n. 1, pag. 57

5 Maffei Alberti A., Commentario breve alla legge fallimentare e alle leggi sulle procedure concorsuali, Padova, Cedam, 2013, 229, sesta edizione.

6 De Crescienzio U., La responsabilità del curatore fallimentare: la nuova disciplina, in Il fallimento a. 2009, n.4, pag. 377

7 De Crescienzo U., La responsabilità del curatore fallimentare: la nuova disciplina, in Il fallimento a. 2009, n.4, pag. 377.

8 L'espressione enuncia il fondamentale principio in base al quale tutti sono tenuti al dovere di non ledere l'altrui sfera giuridica. Tale regola è posta a fondamento della responsabilità extracontrattuale: chiunque violi il divieto è tenuto a risarcire il danno.

9 De Crescienzio U., La responsabilità del curatore fallimentare per atti di mala gestio del patrimonio fallito., Curatore fallimentare. L'eterno dilemma della natura della responsabilità del curatore fallimentare, in Il fallimento, a. 2014, n. 12, pag. 1279., La responsabilità del curatore fallimentare: la nuova disciplina, in Il fallimento a. 2009, n.4, pag. 377., Maffei Alberti A., Commentario breve alla legge fallimentare e alle leggi sulle procedure concorsuali, Padova, Cedam, 2013, 231, sesta edizione., Verna G., La responsabilità del curatore fallimentare, in Riv. Dottori commercialisti, a. 2010, fasc. 1, pag. 163.

10 Lo Cascio G., Codice Commentato del Fallimento, Milano, Ipsoa, 2017, 411, IV Edizione.

11 L'art. 2049 c.c. disciplina la responsabilità dei padroni e committenti "per danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti". Tale disposizione ha lo scopo di assicurare al danneggiato una completa riparazione del danno subito, trasferendo la responsabilità al soggetto economicamente più forte, indipendentemente dalla sua colpa. Ne deriva, quindi, una responsabilità oggettiva per fatto altrui, fondata sul solo rapporto di preposizione, da cui deriva a carico del proponente un obbligo di sorveglianza e controllo sull'attività del preposto. In www.Giuricivile.it

12 Lo Cascio G., Codice Commentato del Fallimento, Milano, Ipsoa, 2017, 480, IV Edizione.

13 Cassazione civile, Sez. I, sentenza 8 settembre 2011, n. 18438 in www.Brocardi.it

14 Cataldo M., Il controllo sugli atti del curatore ed il regime della responsabilità, in Il fallimento, a. 2007, n. 9, pag. 1014

15 Lo Cascio G., Codice Commentato del Fallimento, Milano, Ipsoa, 2017, 479ss, IV Edizione.

16 Maffei Alberti A., Commentario breve alla legge fallimentare e alle leggi sulle procedure concorsuali, Padova, Cedam, 2013, 234ss, sesta edizione.