L'ART. 650 C.P.: ANALISI E PROBLEMATICHE

01.04.2020

Dott.ssa Stefania Cannavò

Gli eventi che hanno caratterizzato il nostro Paese negli ultimi giorni hanno fatto sì che si sentisse spesso parlare dell'articolo 650 del Codice Penale.

Infatti, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 marzo 2020, volto a fronteggiare l'emergenza sanitaria dovuta al diffondersi del virus COVID-19, ha disposto all'articolo 4 che "Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto degli obblighi di cui al presente decreto è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale (...) ".

L'articolo 650 c.p. è contenuto nel Libro III, Titolo I, Capo I, Sezione I (Delle contravvenzioni concernenti l'ordine pubblico e la tranquillità pubblica). Si tratta, quindi di un reato contravvenzionale, il cui testo recita "Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d'ordine pubblico o d'igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a 206,00 euro".

L'obiettivo della norma è quello di tutelare l'ordine pubblico, nonché l'interesse specifico che il provvedimento amministrativo, cui si fa rinvio, intende perseguire.

La disposizione in esame rappresenta un chiaro esempio di norma penale in bianco. Questa si ha quando il legislatore decide di affidare la descrizione del precetto a fonti extrapenali, spesso ad esempio, al diritto amministrativo. Quindi, il legislatore penale si limita a prevedere la sanzione, cioè la conseguenza giuridica che deriva dalla violazione del precetto, la cui determinazione è demandata ad altra fonte. L'articolo 650 c.p., difatti, si limita a sanzionare un precetto formulato in modo generico, cioè "un provvedimento legalmente dato dall'Autorità", e sarà proprio quest'ultima a determinare il contenuto specifico dell'obbligo da osservare.

A proposito di norme penali in bianco, si è più volte posto il problema della loro legittimità costituzionale, soprattutto in relazione al principio di riserva di legge. La questione si pone principalmente in riferimento ai casi in cui il legislatore affida la determinazione del precetto ad atti normativi secondari o addirittura ad atti non normativi.

Ma presto interviene la Corte Costituzionale, la quale offre un'interpretazione di riserva di legge molto ampia, comprendendo nel concetto di legge, non solo la legge penale ma anche quella extrapenale. Ed è ormai pacifico, grazie anche all'intervento della Corte di Cassazione,che la norma penale in bianco sia compatibile con il principio di riserva di legge,in quanto la fonte che disciplina il precetto (sia esso un regolamento o un provvedimento amministrativo) essendo richiamata nella norma penale, assume natura penale perché svolge una funzione di integrazione della fattispecie.

Altra caratteristica dell'articolo 650 c.p. è la sua natura sussidiaria. Difatti, esso si applica soltanto quando la violazione del provvedimento amministrativo non è altrimenti sanzionata. Solo se l'ordine disatteso non trova altra copertura legale, anche in ambito non penalistico, opera la norma. (v. Cass. N. 25322/2019 o Cass. N. 41133/2018).

Per ciò che concerne il contenuto specifico della disposizione bisogna innanzitutto comprendere cosa si intende per "provvedimento legalmente dato dall'Autorità". Tale locuzione fa riferimento a qualsiasi atto autoritativo, cioè in grado di modificare unilateralmente la situazione giuridica del destinatario, emanato da un soggetto pubblico che ha come obiettivo la tutela di un interesse pubblico, si pensi ad esempio alla salute, alla sicurezza, all'ordine pubblico.

La Cassazione con la sentenza n. 9157/2012 ha chiarito che affinché si possa configurare il reato di cui all'articolo 650 c.p. è necessario che "(...) l'inosservanza riguardi un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato; l'inosservanza attenga ad un provvedimento adottato in relazione a situazioni non prefigurate da alcuna previsione normativa che comporti una specifica e autonoma sanzione; il provvedimento emesso per ragioni di giustizia, di sicurezza, di ordine pubblico, di igiene sia adottato nell'interesse della collettività e non di privati individui (...)".

Uno degli aspetti più problematici emersi in seno all'applicazione dell'articolo 650 c.p. riguarda il potere del giudice penale di sindacare circa il provvedimento emanato dall'Autorità. In particolare, ci si è chiesti se il giudice penale potesse disapplicare un provvedimento amministrativo ritenuto illegittimo.

Preliminarmente, il problema si è posto nel campo dell'edilizia. I casi di cui è stata investita la giurisprudenza di legittimità riguardavano le ipotesi in cui un'opera edilizia fosse stata eseguita in seguito a concessione ritenuta illegittima. Le Sezioni Unite, con la sentenza Giordano del 1987, affermarono che il giudice penale, se si è in presenza di un titolo abilitativo, come appunto una concessione e questa non risulta affetta da violazioni macroscopiche, non può svolgere nessun sindacato sulla legittimità dell'atto amministrativo. Si negava al giudice penale un generale potere di disapplicazione degli atti amministrativi illegittimi.

Dopo qualche anno, le Sezioni Unite si sono nuovamente pronunciate sulla questione, con la sentenza Borgia del 1993. In tale occasione i giudici della Suprema Corte, pur ribadendo che il giudice penale non può disapplicare un atto amministrativo, hanno disposto che egli deve, piuttosto, verificare se l'opera autorizzata è conforme agli strumenti urbanistici e se così non fosse, deve dichiarare che l'opera realizzata sia illecita, pur essendoci un formale permesso di costruire.

Il dubbio circa i poteri del giudice penale nei confronti di un atto dell'Autorità pubblica ha continuato anche negli ultimi anni ad essere sottoposto all'attenzione dei giudici. Recentemente la Corte di Cassazione ha affermato che " (...) Ai fini del giudizio di responsabilità in ordine al reato di cui all'art. 650 c.p., il giudice è tenuto a verificare previamente la legalità sostanziale e formale del provvedimento che si assume violato, sotto i tre profili tradizionali della violazione di legge, dell'eccesso di potere e della incompetenza; ne consegue che ove venga rilevato il difetto del presupposto della legittimità, sotto uno di tali profili, l'inosservanza del provvedimento non integra il reato in questione per la cui sussistenza è richiesto esplicitamente che il provvedimento sia «legalmente dato". (Cass. Pen. N. 54841/2018).

Pertanto, si può concludere che in seno alla giurisprudenza domina l'orientamento secondo cui al giudice penale deve essere riconosciuto il potere di valutare la legittimità o meno del provvedimento amministrativo. Se il provvedimento presenta profili di illegittimità, la fattispecie posta in essere non integrerà il reato di cui all'articolo 650 c.p.