LE LEGGI ANTITRUST E LA COLLUSIONE TRA IMPRESE

01.10.2019

Dott.ssa Maddalena Masi

Si definisce legislazione antitrust quel complesso di norme dirette a regolare e limitare la concentrazione del potere economico al fine di salvaguardare la libera concorrenza delle imprese di mercato.

Diverse sono le leggi che vietano un comportamento di tipo collusivo da parte delle imprese: negli USA lo "Sherman Act" del 1890, in Europa il "Trattato di Roma" del 1957 e in Italia dalla "legge Rossi" del 1990. Nel nostro paese una legislazione nell'ambito della tutela della concorrenza è stata introdotta solo nel 1990 prendendo ispirazione dalla normativa comunitaria. Il diritto antitrust comprende le seguenti fattispecie: intese restrittive, abuso di posizione dominante e controllo delle concentrazioni.

Le intese collusive che non ricadono nell'ambito di applicazione della legislazione europea vengono disciplinate dalla Legge n. 287 del 10 ottobre 1990, la quale prevede all'art. 2 che:

1. "Sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statutarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari.

2. Sono vietate le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto quello di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività come:

a. fissare direttamente o indirettamente i prezzi d'acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali;

b. impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico;

c. ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;

d. applicare, nei rapporti commerciali con altri contraenti, condizioni oggettivamente diverse per prestazioni equivalenti, così da determinare per essi ingiustificati svantaggi nella concorrenza;

e. subordinare la conclusione di contratti all'accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun rapporto con l'oggetto dei contratti stessi.

L'ambito di applicazione delle leggi antitrust può convenzionalmente scomporsi in due contesti: il primo riguarda gli accordi tra concorrenti mentre il secondo concerne le attività intraprese da una o più imprese per danneggiare le imprese rivali.

Se si considera solo il primo contesto è possibile notare come, da un punto di vista economico, l'accordo tra più imprese al fine di determinare una strategia di prezzo e/o di produzione che realizzi un profitto maggiore è comunemente definito "accordo collusivo".

Tali accordi tra imprese concorrenti sono rivolti ad attenuare la loro rivalità e ad accrescere il loro potere di mercato, di contro determinano come conseguenza: nel breve termine, una riduzione del benessere sociale e il trasferimento di ricchezza dal consumatore ai partecipanti al cartello; nel lungo termine, una limitazione degli incrementi di produttività e dei miglioramenti tecnologici.

La teoria economica suggerisce che i prezzi, in presenza di accordi tra imprese, sono più alti rispetto ai prezzi di un mercato perfettamente concorrenziale. Si deduce che si potrebbero osservare i prezzi dei beni e/o servizi per determinare se una o più imprese violino le normative antitrust.

Per tale motivo, vige il principio del parallelismo consapevole: la semplice osservazione di identiche variazioni parallele di prezzo può essere considerata una prova sufficiente di collusione.

Tuttavia, variazioni parallele di prezzi possono essere generate da variazioni simili della struttura dei costi o della domanda, oppure essere la risposta razionale di un'impresa che opera in modo non- cooperativo.

Tale approccio non risulta del tutto adeguato poiché pur possedendo i dati sui prezzi effettivi sarebbe difficile capire se un determinato livello di prezzo sia da considerarsi collusivo.

Un approccio più sicuro per le autorità antitrust consiste nel dimostrare che tra le imprese vi sia stata una comunicazione riguardanti il coordinamento delle pratiche che agevolano la collusione.

I coordinamenti possono, ad esempio, riscontrarsi nelle lettere, e-mail e nei verbali di riunione. Per esaminare gli accordi tra imprese concorrenti viene impiegato il criterio di ragionevolezza poiché di per sé nessun tipo di intesa è proibita.

L'analisi delle intese collusive da parte dell'Autorità Garante della Concorrenza e del mercato dovrebbe, dunque, basarsi su elementi tangibili, più facilmente osservabili e verificabili. La collusione, in generale, è difficilmente dimostrabile. Per tale motivo negli ultimi decenni sono stati sviluppati meccanismi incentivanti, i cosiddetti programma di clemenza, volti a garantire una riduzione della sanzione alle imprese che collaborano con le autorità antitrust nell'attività di repressione dei cartelli segreti.

Un ruolo importante nello scoraggiare la formazione di accordi collusivi è svolto anche dalle sanzioni inflitte alle imprese colpevoli, poiché riducono i profitti della collusione e quindi rendono meno allettante per le imprese partecipare all'intesa.

Le sanzioni hanno carattere diverso a seconda degli ordinamenti.

Le sanzioni comminate alle imprese per violazioni delle leggi antitrust in materia di intese sono cresciute nel corso degli anni: questo dimostra che solo la previsione di sanzioni molto rigide può fare in modo che i costi della partecipazione ad un cartello possano superare i potenziali ricavi.

Considerando il caso italiano, nel 2001 è stato modificato l'art. 15 della Legge n. 287 del 1990 al fine di rendere possibile per l'Autorità antitrust italiana di applicare una sanzione pecuniaria massima pari a quella prevista in ambito comunitario; tale decisione è stata adottata in conseguenza della necessità dei paesi membri dell'UE di uniformarsi alla legislazione europea.

Nel novembre del 2014 l'Autorità Garante della Concorrenza e del mercato hanno disposto una nuova linea guida contenenti i criteri base per definire le sanzioni da applicare a chi violi la normativa antitrust.

Tali criteri sono numerosi e dettagliati ed è per questo che costituiscono un importante strumento di trasparenza dell'attività amministrativa a beneficio delle imprese. L'importo delle sanzioni antitrust, secondo i criteri delineati nelle Linee Guida, può essere molto elevato: si può arrivare sino a un massimo pari al 10% del fatturato annuale dell'impresa che commette la violazione e in certe circostanze il responsabile può non farvi fronte.

Finalità di questa previsione è evitare che l'imposizione di una sanzione, calcolata secondo tali criteri, pregiudichi irrimediabilmente la redditività economica dell'impresa e ne possa di conseguenza determinare l'uscita dal mercato.

Le leggi antitrust sono semplici da formulare, ma si sono rivelate di difficile applicazione: non a caso la Corte Suprema negli Stati Uniti ha modificato più volte l'interpretazione di queste leggi.

In generale, la legge antitrust tende a reprimere a posteriori comportamenti posti in essere da una o più imprese con oggetto o effetto distorsivo del corretto funzionamento del mercato.

Tuttavia, all'art. 4 "Deroghe al divieto di intese restrittive della libertà di concorrenza" è prevista la possibilità di ottenere esenzioni sia per singoli casi che per categoria. In dettaglio, l'Autorità antitrust italiana ha il potere di autorizzare, con un proprio provvedimento, le intese che non eliminino la concorrenza da una parte sostanziale del mercato per un periodo di tempo limitato.

Le imprese, beneficiarie della esenzione, godono di un vantaggio strategico nei confronti delle imprese concorrenti. Ne consegue che il legislatore italiano non considera le intese solo come accordi, taciti o espressi, tra le imprese concorrenti, ma come tutte le possibili attività in cui è possibile individuare il concorso volontario di più imprese diretto a regolare i propri comportamenti sul mercato.

Le leggi antitrust sono state facili da formulare, tuttavia trovano difficile applicazione: distinguere un comportamento volutamente collusivo è indubbiamente uno degli interventi più difficili per le Autorità antitrust.

La maggior parte degli economisti ritiene che le leggi antitrust dovrebbero avere il semplicissimo obiettivo di promuovere l'efficienza, ovvero dovrebbero impedire comportamenti o fusioni di imprese che possano danneggiare la società mediante l'esercizio del potere di mercato. Esiste al riguardo un contrasto fra l'impostazione economica, secondo la quale ciò che è vietato è un risultato di mercato, e quella giuridica, secondo la quale ciò che è vietato è uno specifico comportamento e, in particolare, l'aver posto in essere un accordo collusivo.

I FATTORI CHE FACILITANO LA COLLUSIONE E L'ABUSO DI POSIZIONE

Identificare gli elementi che facilitano la collusione è fondamentale per le autorità antitrust al fine di procedere alla loro rimozione. I fattori facilitanti si possono suddividere in tre diverse aggregazioni che riguardano: la struttura dell'industria, l'osservabilità delle azioni dei rivali e le pratiche che disciplinano i prezzi dei prodotti.

Riguardo alla struttura dell'industria questo rappresenta un fattore essenziale che determina la probabilità di raggiungere e sostenere un accordo collusivo. In generale, minore sarà il numero delle imprese presenti nello stesso ramo maggiore sarà la possibilità di colludere. Inoltre, è da rilevare come la presenza di poche imprese aderenti all'accordo influenzi in modo considerevole i profitti derivanti dalla collusione. Infatti, maggiore è il numero di imprese, minore saranno i profitti e la tentazione di deviare dall'accordo stipulato aumenta. È più facile sostenere un accordo collusivo se, in caso di deviazione, la punizione scatta rapidamente. Il fattore che può influenzare la velocità di reazione è, ad esempio, la discontinuità negli ordini; in questo caso le vendite si verificano per grandi lotti e non sono distribuite uniformemente durante l'intero periodo rendendo l'interazione meno frequente e difficile un eventuale accordo collusivo.

Nel caso di simmetria tra i concorrenti un numero limitato di imprese equivale ad un alto grado di concentrazione del mercato. La simmetria tra imprese implica che quest'ultime hanno interessi convergenti; sarà, quindi, più facile accordarsi sulla configurazione di un equilibrio e sul proseguo della coordinazione.

Altri fattori strutturali che aumentano la probabilità di collusione sono quelle pratiche che facilitano lo scambio di informazioni tra rivali. Lo scambio di informazioni, inoltre, potrebbe generare guadagni di efficienza poiché riduce l'incertezza del mercato che coinvolge tutte le imprese.

Per ciò che concerne le pratiche riguardanti la determinazione del prezzo dei prodotti presentate successivamente producono effetti anticoncorrenziali sul mercato e perciò possono facilitare la collusione.

Altro fattore di rilievo è l'abuso di posizione dominante, che si manifesta nello "sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato comune o su una parte sostanziale di questo". Tale abuso si può commettere attraverso: imposizione di prezzi d'acquisto e/o di vendita, limitazione della produzione e l'accettazione di clausole non attenenti ai contratti. Non sono esclusi da questo elenco l'utilizzo di prezzi predatori e il rifiuto a trattare. La verifica dell'illecito in questione, però, e la concreta applicazione di tal articolo si dimostrano più articolate e pretestuose del previsto, fondamentalmente per due fattori: la valutazione della posizione dominante e il potere di controllo dell'autorità antitrust."