PARERE SECONDO CLASSIFICATO DEL CONTEST "ACADEMY COMPETITION"

01.11.2020

Dott. Alessandro Carli

Al fine di valutare la rilevanza penale di quanto commesso dal candidato consigliere comunale occorre, preliminarmente, analizzare quanto previsto dal codice penale in materia di diffamazione.

La condotta tenuta dal candidato consigliere, infatti, sembra astrattamente sussumibile nel reato tipizzato dall'art. 595 c.p. secondo cui "Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusioni fino ad 1 anno o con la multa fino ad euro 1.032,00. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a 2 anni, ovvero della multa fino ad euro 2.065,00". Il quarto comma della richiamata norma, inoltre, prevede un inasprimento del trattamento sanzionatorio allorquando l'offesa sia "recata ad un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una Autorità costituita in collegio".

Dal tenore letterale - oltre che dal Capo nel quale risulta collocato all'interno del Codice - si evince facilmente come il bene giuridico tutelato dal summenzionato reato sia la reputazione della persona, da intendersi quale onore in senso oggettivo.

Integra, pertanto, la fattispecie in esame la condotta del soggetto che, alla presenza di almeno altre due persone, lede la reputazione altrui, prevedendo poi il legislatore un primo aggravio di pena ove l'offesa consista nell'attribuzione di un determinato fatto consistente, come precisato pure dalla giurisprudenza, in un fatto sufficientemente delineato nel suo carattere e nei suoi elementi essenziali sì da rendere il medesimo di più agevole credibilità e affine alla realtà.

Quanto all'elemento soggettivo, esso è rappresentato dal dolo generico da ravvisarsi nella coscienza e volontà di ledere la reputazione del soggetto offeso.

Nel caso che occupa, il candidato consigliere nel corso di un comizio pubblico - quindi certamente alla presenza di più persone - che Caio, allo scopo di eludere il fisco, presta la propria attività a favore di una ONLUS senza possedere partita iva alcuna. Un tanto, conscio della falsità di quanto asseriva, al solo fine di provocare la riprovazione nel pensiero dei presenti.

Alla luce di quanto sopra esposto la condotta posta in essere dal candidato consigliere integra tutti gli elementi costitutivi del reato di diffamazione, aggravato dal fatto che l'offesa sia consistita nell'attribuzione di una precisa fattispecie di reato.

Occorre, però, rilevare che quanto accaduto si è verificato nelle more di un comizio politico il che induce ad analizzare la scriminante ex art. 51 c.p. a mente del quale "l'esercizio di un diritto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità".

Tale norma prevede una specifica causa di giustificazione che si configura allorquando l'autore di un fatto perpetri un reato nel pieno esercizio di un diritto ovvero nell'adempimento di un dovere imposto dalla legge: ciò determina la liceità della condotta serbata contra legem.

Tra i diritti dotati di carica scriminante si annovera quello alla critica, tutelato dall'articolo 21 della Costituzione che garantisce a chiunque il diritto alla libera manifestazione del pensiero. Tuttavia lo stesso per legittimare l'attribuzione di un fatto denigratorio deve avere quale fondamento un evento realmente accaduto dal momento che, come evidenziato dalla giurisprudenza, "l'esercizio del diritto di critica richiede la verità del fatto attribuito assunto a presupposto delle espressioni criticate, in quanto non può essere consentito attribuire ad un soggetto specifici comportamenti mai tenuti o espressioni mai pronunciate. Ne consegue che, limitatamente alla verità del fatto, non sussiste alcuna apprezzabile differenza tra l'esimente del diritto di critica e quella del diritto di cronaca, costituendo per entrambe presupposto di operatività" (Cass. Pen., sez. V 12 giugno 2017, n. 34160). Applicando, pertanto, dette coordinate al caso che occupa è di tutta evenienza che alla condotta del candidato consigliere non potrà essere applicata la causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p. posta la falsità del fatto attribuito.

Di dubbia applicazione pare l'aggravante prevista dal comma quarto, stante la ridotta estensione attribuita da dottrina e giurisprudenza alla nozione di corpo politico, nella quale non rientrano certamente i candidati non ancora eletti.

Chiarita la responsabilità penale del candidato consigliere, si suggerisce a Caio, quale parte offesa, di presentare una querela - atto nel quale, personalmente o a mezzo avvocato, si comunica all'autorità giudiziaria la volontà di procedere in ordine ad un reato - per il fatto occorso durante il comizio del primo.

Nelle more di un eventuale processo penale a carico del candidato consigliere si suggerisce, inoltre, a Caio di costituirsi parte civile rappresentando anche il danno subito per la sconfitta alle elezioni che, ove riuscisse con ragionevole probabilità a ricollegare all'evento diffamazione-riprovazione communis opinio-perdita elezioni, potrebbe sussumere nella categoria del danno da perdita di chance.