PARERE TERZO CLASSIFICATO DEL CONTEST "ACADEMY COMPETITION"

01.11.2020

Dott.ssa Priscilla Longo

Per la risoluzione del caso in esame occorre soffermarsi sulla disciplina del reato di diffamazione in relazione alla scriminante del diritto di critica e sul discrimen tra il reato di diffamazione e il reato di calunnia. È infatti necessario comprendere, dapprima, quale sia il reato integrato dalla condotta di un candidato consigliere che pubblicamente, riferisca dati falsi ( e consistenti nell'attribuzione di una condotta delittuosa) volti a screditare la persona del candidato avversario.

Invero, nel caso di specie, nel corso di un comizio, Caio veniva falsamente umiliato dal rivale politico, il quale lo dipingeva come un evasore del fisco.

Il proferito di quest'ultimo contribuiva alla sconfitta elettorale di Caio.

Il reato di diffamazione, previsto e disciplinato dall'art. 595 cp, è sistematicamente collocato tra i delitti contro l'onore. Il bene giuridico dell'onore, come noto, è tutelato nel nostro ordinamento sia sotto un profilo oggettivo che soggettivo, a seconda che, rispettivamente, venga inteso quale considerazione che il soggetto ha di sé o come la considerazione e la stima godute nella società.

L'onore in senso oggettivo è tutelato precipuamente dalla norma che prevede il delitto di diffamazione, che punisce la condotta del soggetto che, comunicando con più persone, leda l'altrui reputazione.

Ai fini dell'integrazione del reato de quo, però, è necessario che il proferito lesivo dell'altrui onore sia veicolato in assenza della persona offesa.

La presenza dell'offeso, infatti, sarebbe idonea ad integrare, sussistendone i presupposti, l'abrogata fattispecie dell'ingiuria - che si caratterizza per la tutela dell'onore in senso soggettivo-, oggi illecito civile.

La condotta diffamatoria dell'agente è caratterizzata dall'elemento psicologico del dolo, consistente nella consapevolezza della divulgazione del contenuto lesivo oggetto di comunicazione.

Tale comunicazione, secondo la pacifica ed estensiva interpretazione giurisprudenziale, può consistere in un proferito scritto od orale, ma anche in un semplice disegno idoneo a ledere la reputazione altrui. Non è rilevante la forma con la quale la lesione avvenga, tenuto conto che la potenzialità lesiva del reato è data dalla diffusione a più persone del contenuto denigratorio oggetto di comunicazione.

Il legislatore ha previsto, al terzo comma della fattispecie in esame, l'aggravante dell'offesa realizzata a mezzo stampa o con altro mezzo di pubblicità. La diffusività degli effetti negativi della diffamazione derivante dall'uso di strumenti pubblici (ex. la stampa, un comizio elettorale) giustifica l'aggravio di pena previsto nel terzo comma.

In relazione alla diffamazione realizzata con l'uso di stampa o altri strumenti pubblici, il reato di diffamazione è suscettibile di essere scriminato in presenza di un diritto di critica. Quest'ultimo è un diritto che trova un addentellato costituzionale nell'art. 21 della Costituzione, che tutela e garantisce la libertà di espressione.

Come noto, l'esercizio di un diritto, secondo il disposto dell'art. 51 cp, esclude la punibilità. Sarebbe infatti paradossale che l'ordinamento garantisca un determinato diritto e, al contempo, ne sanzioni l'esercizio.

Ciò, però, non vuol dire che l'esercizio del diritto possa essere inteso in senso assoluto: vi sono infatti dei limiti che il titolare del diritto deve rispettare.

Si pone pertanto il problema di determinare quale sia il limite di questa scriminante, in relazione al delitto di cui all'art. 595 cp, tenuto conto che vi sono contesti, come quello della campagna elettorale, ove, spesso, la dialettica tende a degenerare in critiche che assumono la veste di vere e proprie offese, capaci di influenzare la communis opinio.

Orbene, la Corte di Cassazione, pronunciandosi sul tema, ha stabilito che la scriminante in esame opera quando la critica mossa a terzi abbia il carattere della verità, della continenza del linguaggio e sia di interesse per la società (Cassaz. Pen.sez II, n. 51439/13). Pertanto, quando la critica diverge da tali parametri non può trovare applicazione la scriminante del diritto di critica.

Ciò premesso, si passi a tracciare brevemente il discrimen tra il reato di diffamazione e di calunnia formale. Quest'ultimo, disciplinato all'art. 368 I comma cp, si pone a tutela del bene giuridico dell'onore e, al contempo, protegge l'amministrazione della giustizia da abusi dovuti all'instaurazione di inutili e ingiusti processi penali.

In particolare, il delitto de quo si concretizza quando l'agente incolpa, dolosamente, di reato un soggetto che sa essere incolpevole.

Questo elemento lo distingue dalla diffamazione e assurge a rilevanza penale nel momento in cui l'agente denuncia il fatto , che sa essere falso, all'Autorità.

Prima della comunicazione della notitia criminis all'Autorità competente, infatti, ai sensi dell'art. 368 cp, il reato non è integrato.

Ciò premesso, è opportuno verificare come le coordinate ermeneutiche fin qui tracciate possano essere applicate al caso di specie.

Preliminarmente, va osservato che, nonostante il rivale politico di Caio lo abbia pubblicamente accusato di aver commesso il reato di evasione fiscale, il delitto di calunnia non può dirsi integrato, in mancanza dell'elemento oggettivo della denuncia presso un 'Autorità da parte dell'avversario.

È quindi opportuno verificare se il candidato consigliere possa essere scriminato per aver operato una critica nei confronti di Caio. Nel caso di specie, i dati comunicati in presenza di più persone erano oggettivamente falsi e lo scopo del proferito era esclusivamente quello di evitarne l'elezione. Pertanto, il comportamento del rivale di Caio non è scusabile alla luce del diritto di critica, posto che i parametri sanciti dalla giurisprudenza di legittimità sono stati palesemente violati.

Si consiglia a Caio di sporgere querela nei confronti del candidato consigliere per il reato di diffamazione aggravata (art 595, III comma, cp) dall'uso del mezzo di pubblicità.