LA LEGGE n. 194 del 1978 TRA DIRITTO PENALE E MORALE: ALCUNE CONSIDERAZIONI

01.08.2019

Dott.ssa Maria Cristina Sica

Con la legge che vieta l'aborto nello stato dell'Alabama negli USA, si è acuito un dibattito che in Italia già da tempo è tornato, in maniera preoccupante, a ricalcare la scena della sfera politica e sociale. Si avverte infatti un clima assai pesante dai social, alla tv, segnato da deliri ed estremizzazioni da parte di taluni movimenti antiabortisti volti alla più sollecita abrogazione della tanto oggi demonizzata legge n.194/78.

Procediamo con ordine.

Prima che la 194 vedesse la luce, l'aborto, procurato da altri, procurato su donna consenziente, procuratosi da questa, o persino la istigazione all'aborto erano disciplinati quali reati e precisamente annoverati dal Codice Rocco nel suo Libro II, Titolo X, tra i "delitti contro la integrità e la sanità della stirpe". 

Non è certamente da meravigliarsi se si considera che il nostro codice penale sia stato promulgato nel 1930 e che dunque, la ratio di questa collocazione affondava le radici in una ideologia chiaramente fascista per cui lo Stato si preoccupava di garantire, con tali misure, una discendenza sana e in salute al Paese.

Negli anni successivi ai moti rivoluzionari del '68 si è aperta una stagione di spasmodica produzione legislativa, costellata da grandissimi cambiamenti e riforme soprattutto in ambito familiare e sociale. La legge oggetto del nostro esame è figlia proprio di quel periodo. Lo Stato pose l'attenzione su quello che sembrava essere ormai diventato il preoccupante fenomeno sistemico degli aborti illegali, delle gravidanze interrotte in stanze sudice, con attrezzi quanto mai discutibili, con metodologie poco ortodosse alla stregua di torture. 

Si avvertì dunque la necessità di adottare un controllo che non fosse più criminalizzante ma che piuttosto riconoscesse il diritto all'interruzione volontaria della gravidanza senza svilire il diritto alla vita dello spes homini. T

uttavia si pecca di superficialità ogni volta che ci si riferisce alla legge n.194 del 1978 chiamandola " la legge sull'aborto". Essa sì, ne regola modalità termini ma è prima di tutto una legge che tutela la maternità e volge a garantire il diritto ad una procreazione nonché ad una genitorialità consapevole e responsabile, ciò appare abbastanza chiaro sin dal suo articolo 1:

"Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l' aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite."

Si legge inoltre all'articolo 2 lett d) che i consultori familiari istituiti con la precedente legge n.405/75 assistono le donne in stato di gravidanza "contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza. I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori." sintomo che nelle intenzioni del legislatore vi fosse il permettere l'aborto come scelta ultima e residua, ove le cause che potrebbero indurre la donna ad interrompere la gestazione non vengano superate con l'aiuto dei consultori e dei servizi sociali. La donna deve essere informata e supportata. Diventa dovere del medico e dei consultori renderla edotta riguardo alle altre strade percorribili, riguardo l'esistenza di strutture esistenti sul territorio, associazioni di volontariato che potrebbero intervenire in maniera utile al supporto economico e psicologico alla madre in difficoltà così da distrarla dal considerare l'aborto come unica soluzione.

Ciò rende la 194, per chi la conosce, una legge poco meritevole di una demonizzazione degna di un Tribunale della Santa Inquisizione se si considera inoltre, che si tratta di una scelta di buon senso da parte del legislatore dopo aver constatato il totale fallimento del controllo penale. Nei più esasperati tentativi dei movimenti ProVita di equiparare alla tutela del bene vita in fieri , il diritto alla vita dell'essere umano, viene asfaltato inerosabilmente il diritto della donna a poter disporre del proprio corpo. 

La vita dell'embrione e quello della donna che lo porta in grembo sono inscidibilmente legate, e al legislatore tocca prendere una decisione che sia la più equilibrata possibile per tutti gli interessi in gioco. 

La Corte Costituzionale già con la sentenza n. 27 del 1975, seppure da un lato estendeva la tutela e le garanzie cui articolo 2 Cost. al concepito, dall'altro precisava che "non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare".

Purtroppo la legge n. 194 del 1978 si inserisce, come accade per la maggior parte delle materie "delicate", nel bel mezzo di un millenario scontro tra la morale e il diritto.

Sebbene la morale sia insita nell'uomo come specchio dei valori a cui è educato, in cui crede, essa risulta essere un criterio talmente relativo da non poter fungere, in uno stato di diritto, da base fondante del giusto e dell'ingiusto, di cosa la legge debba o non debba vietare. La legge è sì prodotto dei tempi in cui viene promulgata risentendo dei costumi in cambiamento o di sempre nuove necessità di trattazione e disciplina, ma ha come prerogativa il non lasciarsi influenzare da valori etico-religiosi di portata meramente intima e soggettiva, perché solo così potrà vincolare la molteplicità dei consociati nel rispetto di tutte le libertà.