SUL C.D REFERENDUM GIUSTIZIA DEL 12 GIUGNO 2022

30.06.2022

Dott.ssa Lucia Sessa

Il 12 giugno 2022 tutti i cittadini sono chiamati a votare in ordine a cinque referendum abrogativi [1]. Il referendum abrogativo consente l'eliminazione totale o parziale di una legge o di un atto avente forza di legge. I cinque quesiti referendari in commento sono formulati in modo potenzialmente poco comprensibile per alcuni cittadini. Questo impedisce loro di capire le conseguenze del "si" e del "no", comportando il rischio di non raggiungere il quorum necessario affinché il referendum vanga validato. Si rammenta, infatti, che la proposta soggetta a referendum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi[2]. Bisogna votare "sì" se si vuole cambiare la legge attuale o votare "no" se si vuole mantenere l'assetto corrente.

Il primo referendum ha ad oggetto l'abrogazione della cd. legge Severino[3]. Tale norma prevede che chi è stato condannato in via definitiva a più di due anni per alcuni specifici reati[4] non può candidarsi alle elezioni e non può assumere cariche di governo; colui che viene condannato mentre ricopre la carica viene automaticamente sospeso e vi decade quando la condanna diviene definitiva. Più nello specifico, secondo i promotori del referendum, il problema della norma de quo starebbe nelle maggiori restrizioni previste per coloro che rappresentano gli enti locali rispetto ai parlamentari. I primi vengono immediatamente sospesi dalla carica e vi decadono riportando una condanna anche non definitiva, vedendo le loro carriere distrutte pur risultando successivamente innocenti. Per i parlamentari la decadenza non è automatica poiché deve aprirsi un apposito procedimento in parlamento e la decadenza dalla carica avviene solo riportando una condanna definitiva. Secondo i promotori del referendum, infatti, "la decadenza automatica di sindaci e amministratori locali condannati ha creato vuoti di potere e la sospensione temporanea dai pubblici uffici di innocenti". I sostenitori del no sottolineano che in caso di abolizione di questa legge, i parlamentari, i sindaci e gli amministratori condannati per gravi reati potranno nuovamente candidarsi e ricoprire cariche pubbliche.

Se dovesse vincere il sì, sarà abrogata la legge Severino, pertanto l'automatismo suddetto cesserà di esistere e sarà il giudice a decidere, in caso di condanna, se applicare oppure no la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici, ai sensi dell'art. 19 c. p..

Il secondo quesito è diretto a limitare la possibilità di applicare misure cautelari. Il punto di partenza è il principio di non colpevolezza vigente nel nostro ordinamento, in virtù del quale l'imputato non è considerato colpevole fino alla condanna definitiva[5]. Da ciò deriva che non è possibile subire una pena prima di essere stati condannati in seguito ad un giusto processo. Ci sono, tuttavia, dei casi in cui un soggetto, anche solo indagato, può subire delle importanti limitazioni della libertà personale. Questo accade quando viene applicata una cd. misura cautelare, cioè quando l'autorità giudiziaria decide di adottare, già durante la fase delle indagini preliminari, un provvedimento in grado di incidere sulla libertà personale del soggetto[6] o capace di incidere sulla facoltà del soggetto di disporre liberamente dei propri beni[7]. Affinché possa essere applicata una misura cautelare è necessario che vi sia pericolo di fuga, pericolo di inquinamento delle prove o pericolo che l'indagato/l'imputato possa commettere altri gravi reati o commettere reati della stessa indole[8]. I promotori del referendum ritengono che quest'ultima ipotesi sia troppo spesso abusata e strumentalizzata per anticipare la pena piuttosto che per reprimere un vero e proprio pericolo. Ogni anno, infatti, circa mille persone vengono sottoposte ad una misura cautelare per risultare poi innocenti. Dal 1992 a fine 2020 si sono registrati 29.452 casi. L'Italia, inoltre, è il quinto paese dell'Unione Europea con il più alto tasso di detenuti in custodia cautelare: il 31%, che equivale a dire che un detenuto ogni tre è in carcere senza essere stato dichiarato colpevole. Dal 1992 lo Stato ha speso circa 795 milioni di euro per indennizzare le persone ingiustamente detenute[9]. È stato proposto, quindi, di eliminare dalle esigenze cautelari il pericolo di commistione di reati della stessa indole. Chi è per il no sostiene, invece, che pur cambiando la legge non ci sarebbe comunque alcuna garanzia diretta ad evitare le ingiuste detenzioni poiché le altre motivazioni rimangono applicabili.

Se dovesse vincere il sì, sarà eliminata la possibilità di applicare una misura cautelare in presenza del pericolo di commissione di reati della stessa indole, restando la possibilità di applicarla negli altri casi e, quindi, anche quando vi è pericolo di commissione di gravi reati.

Il terzo quesito riguarda la separazione delle carriere tra i magistrati. I magistrati, infatti, durante la loro carriera possono svolgere la funzione giudicante[10] o la funzione requirente[11] e passare da una funzione all'altra. Secondo i promotori del referendum questo meccanismo pregiudica il principio di terzietà ed imparzialità del giudice vigente nel nostro ordinamento e secondo cui il giudice deve porsi in una posizione di indifferenza e di equidistanza tra le parti[12], giacché "questa contiguità tra il pubblico ministero e il giudice contraddice l'idea che l'attività della parte che accusa (PM) debba restare distinta da chi giudica. Essa crea uno spirito corporativo tra le due figure e compromette un sano e fisiologico antagonismo tra poteri, vero presidio di efficienza e di equilibrio del sistema democratico. Nelle grandi democrazie i PM hanno carriere nettamente separate da quelle dei giudici". In poche parole ci sono magistrati che dopo aver passato un determinato periodo di tempo a ricoprire il ruolo dell'accusa, diventano poi coloro che dovrebbero guardare con distacco ed equilibrio il dibattimento in cui si formano le prove e viceversa. Chi è per il no sostiene che la separazione delle carriere non sarà comunque efficace poiché la formazione, il concorso per accedere alla magistratura e gli organi di autogoverno dei magistrati resterebbero in comune. Inoltre, c'è chi teme che in questo modo i P.M. possano essere sottoposti a un maggiore controllo da parte del Governo.

Se dovesse vincere il sì, ciascun magistrato dovrà scegliere all'inizio della carriera quale funzione svolgere e dovrà mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale.

Il quesito numero quattro riguarda l'equa valutazione dell'operato dei magistrati. Competente in tal senso è il Consiglio Superiore della Magistratura, che è l'organo di autogoverno della magistratura, posto a garanzia dell'indipendenza del potere giudiziario rispetto agli altri poteri dello Stato[13]. Esso adotta tutti i provvedimenti che incidono sullo status dei magistrati e, come poc'anzi detto, ne valuta l'operato principalmente sulla base delle relazioni che arrivano dai Consigli giudiziari[14] sparsi sul territorio. Tali organi sono composti da magistrati e membri cd. laici, cioè professori universitari e avvocati. Ad oggi, tuttavia, i laici non partecipano alla valutazione della professionalità e della competenza dei magistrati, che viene fatta, quindi, solo da altri magistrati. Secondo i promotori del referendum questa sovrapposizione tra "controllore" e "controllato" renderebbe poco attendibile le valutazioni e favorirebbe una logica corporativa, invero la riforma renderebbe la magistratura meno autoreferenziale e la valutazione dei magistrati più oggettiva. I sostenitori del no, invece, ritengono che non sia opportuno dare agli avvocati il ruolo di valutare i magistrati, dato che nei processi i P. M. rappresentano la controparte degli avvocati e, pertanto, le valutazioni potrebbero essere pregiudizievoli e ostili. Allo stesso modo, i magistrati potrebbero essere influenzati dal trovarsi di fronte ad un avvocato coinvolto nella sua valutazione professionale.

Se dovesse vincere il sì, anche i professori universitari e gli avvocati potrebbero esprimersi nel giudizio dei magistrati, incidendo sulle relazioni che arrivano al C. S. M.

Il quinto quesito riguarda l'elezione del Consiglio Superiore della Magistratura. Il C.S.M. è composto da ventiquattro membri eletti per un terzo dal Parlamento e per due terzi dai magistrati, oltre al Presidente della Repubblica che lo presiede e ne è membro di diritto al pari del Primo Presidente e del Procuratore Generale della Corte di Cassazione[15]. In base alla legge attualmente in vigore il magistrato che intende candidarsi deve presentare dalle venticinque alle cinquantamila firme di altri magistrati a proprio sostegno. Secondo i promotori del referendum queste firme sarebbero spesso fornite col supporto delle varie correnti politiche interne alla magistratura. Si vuole, quindi, eliminare il vincolo tra i candidati e le varie correnti politiche, in modo da bloccare la cd. "lottizzazione delle nomine", cioè la spartizione delle cariche tra i diversi orientamenti politici e in modo da porre l'attenzione sul singolo magistrato e sulle sue qualità professionali. I sostenitori del no affermano, invece, che la riforma non eliminerebbe il potere delle correnti poiché interverrebbe in modo poco rilevante.

Se dovesse vincere il si verrebbe eliminata la necessità di raccogliere le suddette firme e tutti i magistrati in servizio poressero proporsi come membri del C.S.M. presentando semplicemente la propria candidatura.

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[1] Tecnicamente si tratta di cinque diversi referendum giacché ad ogni quesito corrisponde un referendum, tuttavia questi vengono trattati in modo unitario perché hanno ad oggetto il medesimo tema e sono stati presentati come punti nell'ambito di un unico progetto.

[2] Art. 27 Cost.

[3] Si fa riferimento al d. lgs n. 235/2012.

[4] I delitti di allarme sociale, i delitti contro le pubbliche amministrazioni o i delitti non colposi per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni.

[5] Art. 27 Cost.

[6] Sono le misure cautelari personali, ad esempio la custodia cautelare in carcere, gli arresti domiciliari o il divieto temporaneo di esercitare determinate attività professionali o imprenditoriali).

[7] Sono le misure cautelari reali, ad esempio il sequestro preventivo).

[8] Art. 274 c. p. p.

[9] Dati forniti dal Ministero della Giustizia.

[10] Giudici, coloro che emettono le sentenze sulla base delle prove raccolte nel contradditorio tra l'accusa e la difesa.

[11] P. M., coloro che si occupano delle indagini insieme alle forze dell'ordine e svolgono la parte dell'accusa nel procedimento penale.

[12] Art. 111 Cost.

[13] Art. 104 Cost.

[14] D. lgs n. 25/2006.

[15] Art. 104 Cost.