LA DIFFAMAZIONE A MEZZO FACEBOOK

01.05.2022

Avv. Luca Mariani

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca facebook integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'articolo 595 c.p., comma 3, c.p..

Invero, la diffusione di un messaggio con le modalità consentite per questo tipo di "modalità", "una bacheca facebook", ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, perché l'utilizzo di facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale.

Facebook «oggi è considerato il più diffuso e popolare dei social network ad accesso gratuito, vale a dire una Rete sociale in cui può essere coinvolto un numero indeterminato di utenti o di navigatori Internet che tramite questo entrano in relazione tra loro pubblicando e/o scambiandosi contenuti che sono visibili ad altri utenti facenti parte dello stesso gruppo o comunque a questo collegati»; dato che un elemento indispensabile per la sussistenza del reato di diffamazione è la comunicazione con più persone, è doveroso evidenziare come il social in questione consenta «agli utenti di fruire di alcuni servizi tra i quali l'invio e la ricezione di messaggi, rilascio di commenti, fino alla possibilità di scrivere sulla bacheca di altri amici, impostando diversi livelli di condivisione di tali informazioni. È evidente che gli utenti del social network sono consapevoli, e anzi in genere tale effetto non è solo accettato ma è indubbiamente voluto, del fatto che altre persone possono prendere visione delle informazioni scambiate in Rete».

È altresì possibile attraverso l'attività di c.d. tagging «copiare messaggi e foto pubblicati in bacheca e nel profilo altrui oppure email e conversazioni in "chat"» e ciò sottrae «questo materiale dalla disponibilità dell'autore e sopravvive alla stessa sua eventuale cancellazione dal social network».

Perciò, l'inserimento dell'affermazione dal contenuto diffamatorio all'interno del profilo personale consente a tutti gli "amici" di leggerla permettendone la diffusione che costituisce uno dei presupposti principali del reato di diffamazione[1].

Tuttavia, occorre tener conto delle peculiarità che l'uso di Facebook permette, in merito alla riservatezza dei propri post e del proprio profilo.

È infatti possibile, attraverso delle restrizioni, scegliere tra diversi livelli di accesso ai propri contenuti: si può optare per la totale pubblicità dei propri post, permettendo un accesso libero al proprio profilo; una più ristretta soluzione riguardante solo la cerchia "amici di amici"; infine una ancor più limitata riguardante unicamente gli utenti "amici".

Sempre la giurisprudenza di merito ha avuto modo di precisare che «coloro che decidono di diventare utenti di Facebook sono ben consci non solo delle grandi possibilità relazionali offerte dal sito, ma anche delle potenziali esondazioni dei contenuti che vi inseriscono: rischio in una certa misura indubbiamente accettato e consapevolmente vissuto[2]».

Viene rimarcato, inoltre, come le caratteristiche stesse del contesto permettano di amplificare la propagazione e l'incontrollata diffusione del messaggio in questione, attraverso strumenti quali il tagging[3].

La Cassazione, poi, ha avuto modo di specificare che «ai fini della integrazione del reato di diffamazione è sufficiente che il soggetto la cui reputazione è lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone indipendentemente dalla indicazione nominativa»; ricorda inoltre, che il reato di diffamazione non richiede il dolo specifico in quanto «è sufficiente la consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell'altrui reputazione e la volontà che la frase venga a conoscenza di più persone, anche soltanto due».

Vale a dire che la Cassazione opera presumendo la percezione dell'offesa anche all'interno di un social network come Facebook; considerata la natura stessa del Web, per quanto un profilo possa essere "chiuso", infatti, risulta comunque accessibile ad una moltitudine di utenti[4].

____________________

[1] Tribunale di Livorno, ufficio GIP, 31 dicembre 2012, n. 38912, C. Melzi d'Eril, In tema di diffamazione via Facebook, in www.penalecontemporaneo.it, 29 gennaio 2013.

[2] Tribunale di Monza, sez. IV, 2 marzo 2010, n. 770

[3] G. Corrias Lucente, La diffamazione a mezzo Facebook, su www.medialaws.eu, 25 febbraio 2013

[4] Cass. Pen., sez. I, 16 aprile 2014, n. 16712, M. Iaselli, Diffamazione su Facebook: non è necessaria l'indicazione nominativa dell'offeso, in www.altalex.com, 8 maggio 2014, M. Mensi - P. Falletta, Il diritto del Web. Casi e materiali, Padova, Cedam, 2015, pag. 170