LA TUTELA DEGLI INTERESSI DIFFUSI TRA PROCEDIMENTO E PROCESSO AMMINISTRATIVO

01.01.2021

Dott. Luca Mariani

Per interesse diffuso s'intende l'interesse al conseguimento od al mantenimento di un bene della vita, facente capo non ad un soggetto predeterminato, ma ad una collettività indifferenziata. L'interesse diffuso è giuridicamente rilevante, ma non è personalizzato, trovandosi ogni individuo, rispetto ad esso, nell'identica condizione degli altri appartenenti alla medesima collettività. La teorica dell'interesse diffuso costituisce un'importante tappa nel lungo e tortuoso processo di affermazione e trasposizione sul piano giuridico di posizioni sostanziali a carattere superindividuale di rilevanza pubblica e a carattere altruistico. Gli interessi in questione si configurano quali espressione di diritti facenti capo alle varie collettività, in quanto le uniche posizioni giuridiche sostanziali attive sono costituite, oltre che dai poteri, dai diritti soggettivi; chiaramente si tratta di diritti collettivi di cui cioè è titolare non un individuo, bensì la comunità interessata. Tuttavia, la dottrina amministrativistica, conformemente alla giurisprudenza, continua a considerare tale categoria degli interessi diffusi quali interessi che possono divenire "legittimi" solo allorché si concretino in capo ad associazioni protezionistiche o similia

La tutelabilità dei soli interessi collettivi, quale frutto del processo di personalizzazione degli interessi diffusi sopra descritto, trova conferma già alla stregua della legge sul procedimento amministrativo, che, non a caso, ex articolo 9, legittima sì l'intervento nel procedimento ai portatori di interessi diffusi ma specifica che si deve trattare di portatori di interessi "costituiti in associazioni o comitati", in quanto solo in tal modo l'interesse assume i connotati della differenziazione necessaria ai fini della configurabilità di una legittimazione ad agire nel processo amministrativo. Difatti, il tema degli interessi diffusi è strettamente connesso a quello della rappresentatività in giudizio degli stessi all'interno del processo amministrativo. Ferma, dunque, la rappresentatività nel procedimento amministrativo degli interessi diffusi da parte di associazioni o comitati alla stregua dell'articolo 9 della legge 241 del 1990, occorre chiedersi se la rappresentatività nel procedimento comporta automaticamente una corrispondente rappresentatività in giudizio dell'associazione. Il problema maggiormente incidente è costituito dalla legittimazione ad azionare tali posizioni soggettive: difatti, l'interesse diffuso, nell'impostazione tradizionale, risulta adespota, cioè privo di titolare, talché non si distingue in concreto da un interesse di fatto, cioè non protetto da alcuna norma. Ne deriva l'impossibilità di adire il giudice amministrativo, innanzi al quale è necessaria una legittimazione individuale, salvo riconoscerla in capo a soggetti collettivi, a carattere associativo o istituzionale, che statutariamente si pongono quali portatori "differenziati" di tali interessi. In questo modo, l'interesse diffuso perde la sua caratteristica di "adespota", nei limiti in cui l'ordinamento consente di individuarne un portatore legittimato ad esercitare le relative azioni. Alla pari degli interessi di categoria (così detti interessi collettivi), gli interessi diffusi attraverso la loro imputazione ad un soggetto collettivo imposta da un'opzione normativa o meglio esegetica, subiscono un processo di sintesi e divengono interessi individualizzati dell'organizzazione. In termini pratici, tale impostazione evita il rischio che, ampliata la legittimazione a ricorrere, si introduca una generale azione popolare potenzialmente in grado di snaturare lo stesso processo amministrativo. Ma tale esigenza non può sacrificare il cittadino, che sarebbe costretto, in violazione dell'art.2 della Costituzione, a partecipare ad un ente associativo costituente un gruppo intermedio per esercitare diritti fondamentali che dovrebbero ricadere, innanzitutto, nella titolarità dei singoli individui pregiudicati direttamente dalla lesione di essi. Inoltre, appare evidente che la necessaria intermediazione del gruppo organizzato si pone in contrasto con l'art. 24 della Costituzione, allorché la sottostante posizione sostanziale sia riconosciuta oggettivamente come degna di protezione giuridica, senza che abbia alcun rilievo su tale qualificazione la verifica della legittimazione, riguardante esclusivamente alla possibilità astratta che il ricorrente possieda la posizione di cui si affermi titolare. Su tale linea è stata approvata la legge n. 31/2019, che ha generalizzato nel nostro ordinamento la class action a tutela degli interessi individuali omogenei. A fronte di un orientamento che ha rimarcato questo parallelismo operativo tra procedimento e processo, un differente orientamento ha più correttamente evidenziato come la partecipazione al procedimento è polifunzionale, visto che la stessa può assurgere non solo ad una funzione difensionale, nella prospettiva di un successivo giudizio di tipo impugnatorio ma anche ad una funzione meramente collaborativa. L'apporto che l'ente esponenziale degli interessi collettivi adduce può consistere anche in una mera di attività di consulenza e di ausilio nel procedimento, a fronte della qualificata esperienza che nel proprio campo di competenza l'associazione ha di certo maturato nel tempo. A conferma dell'assunto vi è il rilievo per cui il Codice dei beni culturali e del paesaggio riconosce alle associazioni portatrici di interessi diffusi la possibilità di appellare le sentenze dei TAR che si sono pronunciate sulla legittimità dell'autorizzazione paesaggistica, anche nell'ipotesi i cui "non abbiano proposto ricorsi di primo grado". Sebbene si tratti di una legittimazione speciale, che non può essere oggetto di applicazione in via analogica, dalla stessa se ne può inferire una conferma indiretta dell'assunto per cui nel disegno del legislatore ben può ammettersi un intervento nel processo amministrativo disgiunto rispetto ad un precedente intervento nel procedimento medesimo. 

Il tema della rappresentatività degli interessi diffusi è stato attenzionato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, oltre che con riferimento all'ipotesi dell'associazionismo spontaneo, anche riguardo alla costituzione di ordini professionali, che disvelano più propriamente la natura di soggetti che svolgono funzioni pubbliche: si consideri, infatti, a titolo esemplificativo come il consiglio dell'ordine professionale forense sia dotato di poteri certificativi, provvedimentali nonché di tipo sanzionatorio. Ora, il problema che si è posto in giurisprudenza è stato quello di chiarire proprio il profilo della rappresentatività di siffatti enti: in altri termini, ci si è chiesto se essi rappresentano gli interessi dei singoli iscritti ovvero un interesse di categoria. L'occasione per una riflessione sul tema è stata data dalla giurisprudenza dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nel momento in cui la stessa è stata chiamata a sindacare la legittimità di una determina di un'università, che aveva dato vita ad uno spin-off accademico, costituendo una società lucrativa operante al suo interno e della quale facevano parte anche alcuni architetti professori universitari. Ora, l'ordine professionale di categoria aveva rappresentato in giudizio l'interesse dei suoi iscritti a non vedersi pregiudicati da quella determina di costituzione societaria, che altro non era che un affidamento diretto operato dall'Università, in violazione dell'obbligo di esperimento di gara che sussiste, secondo la giurisprudenza comunitaria, anche in capo all'ente universitario. L'Adunanza Plenaria del 2011 aveva evidenziato come l'attività posta in essere dall'università risultava violativa degli stessi fini istituzionalmente perseguiti dall'ente, che sono quelli di ricerca e non certamente fini meramente lucrativi come quelli perseguiti attraverso il descritto meccanismo di spin-off. La pronuncia dell'Adunanza rileva anche perché compone un contrasto giurisprudenziale circa il profilo della rappresentatività degli interessi collettivi. In tal senso, secondo una prima impostazione l'ordine professionale non ha la legittimazione in giudizio quando non rappresenta gli interessi di tutti i suoi iscritti, come d'altronde accadeva nel caso in esame visto che alcuni professionisti, svolgenti anche l'attività di professori universitari, erano stati avvantaggiati dallo spin-off, lavorando per la neo costituita società, a fronte di altri professionisti che si erano visti precluse le medesime opportunità lavorative solo perché non operanti nel mondo accademico. Si ravvisava, pertanto, un vero e proprio conflitto di interessi che inficiava la stessa possibilità dell'ordine professionale di rappresentare tutti i propri iscritti. Secondo una differente impostazione, invece, fatta propria dall'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, la legittimazione ad agire sussiste tutte le volte in cui l'ente esponenziale di interessi collettivi, qui costituito dall'ordine professionale, rappresenti in giudizio l'interesse della categoria, di cui è istituzionalmente portatore, dovendosi prescindere dal rilievo se in concreto vi saranno dei soggetti pregiudicati dalla richiesta di una tutela giurisdizionale. Al di là, però, della costituzione di associazioni ovvero di enti professionali, che come detto in premessa consentono di attribuire all'interesse diffuso un carattere di differenziazione che ne legittima la tutela in giudizio, il diritto amministrativo conosce anche la mera rappresentatività di interessi diffusi, non attribuibili formalmente ad un ente esponenziale. Il riferimento è al potere riconosciuto dall'articolo 21 bis della legge numero 287 del 1990 all'Autorità Garante della concorrenza e del mercato, nella parte in cui essa è "legittimata ad agire in giudizio contro gli atti amministrativi generali, i regolamenti ed i provvedimenti di qualsiasi amministrazione pubblica". La portata innovativa della disposizione, aggiunta ad opera del legislatore del 2011, si coglie proprio nel riconoscimento di un potere ad agire in giudizio a fronte di qualsiasi violazione della concorrenza e del mercato, atteggiandosi l'Autorità garante ad un vero e proprio pubblico ministero, visto che quest'ultimo ha l'obbligo ex articolo 112 Cost. di esercitare sempre l'azione penale.