PARERE VINCITORE DEL CONTEST "ACADEMY COMPETITION"

01.11.2020

Dott.ssa Deborah Di Carlo

Una corretta risoluzione del caso di specie impone l'analisi della fattispecie di reato disciplinata dall'art. 595 c.p. La fattispecie contempla l'ipotesi in cui un soggetto offenda l'altrui reputazione, comunicando con più persone e facendo riferimento ad un fatto determinato.

In particolare nel caso in esame il candidato consigliere comunale durante un comizio pubblico dichiarava falsamente che il candidato avversario Caio svolgesse attività, per mezzo di una ONLUS, privo di p. IVA, al fine di eludere il fisco. In conseguenza delle dichiarazioni del candidato, Caio perdeva le elezioni.

Occorrerà determinare se le dichiarazioni del candidato abbiano leso la reputazione di Caio.

Nell'art. 595 c.p. la reputazione è intesa come il senso di dignità nell'opinione degli altri; l'oggetto della tutela penale del delitto di diffamazione è l'interesse dello Stato all'integrità morale della persona. Del resto il bene giuridico specifico è dato dalla reputazione dell'uomo, dall'opinione che gli altri hanno del suo onore e decoro. Deve ravvisarsi il delitto di diffamazione quando si lede il diritto all'identità personale mediante offesa alla reputazione. Il reato di diffamazione è configurabile in presenza di un'offesa alla reputazione di una persona determinata e non può, quindi, ritenersi sussistente nel caso in cui vengano pronunciate o scritte espressioni offensive riferite a soggetti non individuati, né individuabili (Cass, Sez. V, n. 3809/2018). Nel caso in esame, però, si trattava di dichiarazioni riferite ad un soggetto determinato, Caio e inerenti alla sua attività svolta per il mezzo di una ONLUS.

Inoltre, il comma 2 dell'art. 595 c.p. fa riferimento all'offesa consistente nell'attribuzione di un fatto determinato. Per "fatto determinato" deve intendersi quello concretamente individuabile mediante l'indicazione dell'azione che si vuole commessa da taluno; deve trattarsi di un fatto sufficientemente delineato nel suo carattere e nei suoi contorni, così da essere maggiormente credibile e produttivo di un pregiudizio alla reputazione altrui. Proprio qui si concreta la ratio dell'aggravante in questione. Nel caso in esame le dichiarazioni del candidato fanno riferimento chiaro ad una presunta azione commessa da Caio, ovvero lo svolgimento di attività mediante una ONLUS, privo di p. IVA, al fine di eludere il fisco. In questo modo il fatto è delineato a tal punto nei suoi caratteri essenziali da suscitare nell'opinione pubblica la convinzione che Caio abbia commesso il reato di evasione fiscale.

Ai fini dell'integrazione dell'elemento psicologico del reato di diffamazione, non è necessaria l'intenzione di offendere la persona nel sentimento del suo onore o della sua reputazione (animus iniuriandi o diffamandi). Ai fini della sussistenza di tale delitto, poiché le norme relative non postulano alcuna ipotesi di dolo specifico, è sufficiente la volontà dell'agente di usare espressioni offensive, con la consapevolezza di offendere l'altrui onore e l'altrui reputazione; inoltre, ove siffatta volontà appaia evidente, i fini e i moventi che hanno determinato l'agente non avranno alcuna rilevanza. In altri termini, per integrare l'elemento psicologico, è sufficiente, la volontà cosciente insita nella consapevolezza dell'attitudine offensiva della condotta posta in essere. In tema di delitti contro l'onore, l'elemento psicologico della diffamazione consiste in primo luogo nella consapevolezza di pronunciare una frase lesiva dell'altrui reputazione e, in secondo luogo, si sostanzia nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Nel caso di specie, infatti, in candidato è consapevole della portata delle sue dichiarazioni in un pubblico comizio; egli facendo tali dichiarazioni in un simile contesto voleva attrarre l'attenzione di più persone sulla presunta condotta illecita di Caio, con la piena consapevolezza che questo avrebbe leso la credibilità e quindi la reputazione dell'avversario politico.

In tema di diffamazione l'errore sulla veridicità dei fatti oggetto della condotta incriminata non esclude il dolo richiesto dalla norma, poiché non ricade sugli elementi costitutivi della fattispecie. Difatti il reato può essere consumato anche divulgando la verità, poiché, per la configurabilità dell'elemento soggettivo, è sufficiente la consapevolezza di formulare giudizi oggettivamente lesivi della reputazione della persona offesa. Del resto la consumazione del reato in questione, essendo reato di evento, avviene nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione diffamatoria.

Il caso in esame si contestualizza nell'ambito di una competizione politica. In generale nelle competizioni politiche è lecito criticare gli avversari, anche in modo aspro, purché si rispettino i limiti della verità del fatto esposto e dell'interesse sociale alla comunicazione al pubblico. Inoltre nella previsione dell'art. 51 c.p. rientrano sia l'esercizio del diritto di cronaca vera e propria, sia l'esercizio del diritto di libera critica politica. Quest'ultimo è un aspetto dei diritti soggettivi pubblici di manifestazione del pensiero attribuiti al cittadino dall'art. 21 Cost. Tali diritti sono strettamente connessi con l'ordinamento democratico a base pluralistica, che consente la disputa polemica nelle competizioni politiche. Lo svolgimento di tali competizioni può talvolta raggiungere espressioni di durezza e di disapprovazione verso gli esponenti di opposte ideologie; tali suddette espressioni sono penalmente irrilevanti fintanto che non si offenda la persona e la sua dignità e non si sconfini in una lesione dell'altrui reputazione. Le espressioni utilizzate nell'ambito della c.d. "critica politica" assumono connotazioni soggettive ed opinabili, in quanto si confrontano concezioni contrapposte per il raggiungimento di fini politici. Da ciò consegue che, in tale contesto, la valutazione dei comportamenti e dei giudizi fortemente critici nei confronti degli avversari politici, deve essere compiuta tenendo presente il preminente interesse generale al libero svolgimento della vita democratica. Tuttavia l'esimente del diritto di critica non sussiste qualora in un dibattito si attribuisca all'avversario politico un fatto oggettivamente falso, penalmente rilevante e, pertanto, lesivo della sua reputazione. Difatti la scriminante del diritto di critica non può trovare applicazione quando in un contesto politico, come quello in esame, la condotta dell'agente trasmodi in aggressioni gratuite, non pertinenti ai temi in discussione ed integranti, invece, l'utilizzo di argumentia ad hominem intesi a screditare l'avversario mediante l'evocazione di una sua presunta indegnità od inadeguatezza personale, piuttosto, che a criticarne i programmi.

Le argomentazioni di cui sopra sono atte a dimostrare come il candidato non si sia limitato alla c.d. "critica politica" ma abbia inteso denigrare Caio e screditarlo agli occhi della comunità, attribuendogli la commissione di un fatto illecito e ledendo il suo diritto all'identità personale.

Alla luce di quanto sopra è possibile sostenere che le dichiarazioni del candidato hanno leso la reputazione di Caio che di conseguenza ha perso la chance di vincere le elezioni. Infatti tali dichiarazioni hanno indubbiamente influito sulla communis opinio facendo apparire Caio indegno della fiducia degli elettori.

A questo punto, in conclusione, Caio può proporre una querela per diffamazione nei confronti del candidato, contemplando il 595 c.p. un reato perseguibile a querela. Inoltre deve ravvisarsi in questo caso un illecito civile (art. 2043 c.c.) per lesione del diritto all'identità personale di Caio, poiché le dichiarazioni hanno implicato un travisamento del suo patrimonio intellettuale e professionale; per questo Caio può costituirsi parte civile, ai sensi degli artt. 74-79 c.p.p. ed intraprendere un'azione civile di risarcimento dei danni, ex art. 2043 c.c., da diffamazione e conseguente perdita di chance, avendo egli perso definitivamente la possibilità di ottenere l'ambito posto di consigliere comunale.